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L'arte di creare un apocrifo 2

di Sergio Kraisky

Incamminandomi nel solco tracciato da Enrico Solito percorrerò un'ipotesi di lavoro finalizzata a dimostrare la necessità soggettiva ed oggettiva dell'esistenza di Sherlock Holmes. Gli apocrifi - i cosiddetti apocrifi - ne celebrano non solo l'esistenza, ma anche la persistenza, senza le quali, del resto, gli apocrifi stessi perderebbero la loro ragion d'essere. Pertanto, una volta dimostrato l'enunciato ontologico di cui sopra, verranno fornite alcune istruzioni liturgiche su come il culto vada conservato e rinvigorito L'indagine, fondata su un approccio trasversale, si sviluppa su tre piani distinti:

  1. Un piano storico-sociologico, che per comodità chiameremo il 'piano dell'angelo'.
  2. Un piano logico-metafisico, che chiameremo il piano del 'Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo'
  3. Un piano liturgico-letterario, al quale verrà dato lo stesso titolo dell'intero lavoro, ovvero 'L'arte di creare un apocrifo 2'.

Piano storico-sociologico

Chi chiede: 'Perché ancora il culto di Sherlock Holmes?', domanda preliminare a qualunque discorso sui cosiddetti apocrifi, finisce col ricevere una pletora di risposte, varie, ma quasi tutte vaghe e insoddisfacenti. E' giunto il momento di azzardare una risposta definitiva.
Nel suo ponderoso saggio sull'arte dell'apocrifo, Enrico Solito ci conduce nel mondo della Tavola Rotonda e paragona Sherlock Holmes a Lancillotto del Lago. Paragone suggestivo, ma confinato nella sfera dell'immaginario individuale, come lo stesso Solito da subito ammette. A noi serve invece una fondazione nella storia universale, in quel sistema di valori coerente e condivisibile a cui attinge la mitologia con la sua galleria di archetipi. Per questo appare inevitabile ricorrere alla categoria del sacro. Nella fattispecie ritengo che esistano elementi sufficienti per collocare la figura di Sherlock Holmes nell'ambito dell'angelologia.
Nel 'De coelesti hierarchia' Dionigi Aeropagita stabilisce una definitiva sistemazione degli angeli in nove cori, a secondo della vicinanza a Dio, mentre la teologia contemporanea, più prosaica, interpreta l'angelologia biblica come un modo per esprimere la fede nell'intervento provvidenziale di Dio a favore dell'uomo. Sarebbe arduo trovare la giusta collocazione per il Nostro all'interno dei nove livelli della 'coelesti hierarchia', risulterà sicuramente più agevole ricorrere alla via indicata dalla teologia contemporanea.
Il mondo continua a dibattere sull'esistenza degli angeli, proprio come noi periodicamente siamo costretti a fare a proposito di Sherlock Holmes. Nel nostro intimo sappiamo bene che lui, come gli angeli sopra Berlino di Wim Wenders, aleggia su di noi, testimone immortale di drammatici e bruschi passaggi d'epoca. A differenza degli angeli di Wenders però, paralizzati dall'impotenza a intervenire sul libero arbitrio dell'uomo, dopo i traumi e gli orrori di due guerre mondiali, Sherlock Holmes ci riconduce allo spirito ottimista e progressista di fine ottocento e dei primi del novecento. Il suo ottimismo incarna un'idea interventista e provvidenzialista dell'angelo, profondamente consolatoria, come in fondo tutti gli uomini si aspettano dagli angeli. Potremmo chiamarlo 'Un angelo sopra Londra', che all'epoca dell'impero vittoriano sul quale non tramontava mai il sole, significa un angelo sopra il mondo.
In un secolo di guerre mondiali, terrori atomici, totalitarismi devastanti, angosce ecologiche e spirituali, le nostre società disgregate, 'senza padre', secondo la celebre definizione di Mitscherlich, anelano a qualche forma di sicurezza protettiva a cui abbandonarsi, a sentimenti di fede e di sacro, come dimostra l'infinità di sette, pseudo religioni e credenze occulte che popolano il nostro mondo disincantato. Holmes risponde al bisogno, oggi così negato, di una società stabile e di una storia controllabile. Incarna l''ottimismo della Ragione', un anelito tanto profondo quanto represso dalla Ragione stessa, priva ormai della sua iniziale maiuscola.
Sherlock Holmes, come un padre ideale, ci conduce per mano attraverso mirabolanti avventure e ci insegna metodi infallibili per uscirne fuori. E' così vicino e così lontano, come il titolo del secondo film 'angelico' di Wenders, proprio come gli angeli, e si capisce perché il tenente Colombo, che con la sua micidiale logica indiziaria rappresenta il più recente tentativo di reincarnazione di Holmes, compaia in veste di angelo in entrambi i film di Wenders. Suggerisco, per inciso, di indagare più a fondo sull'ipotesi di cooptare il regista tedesco in qualcuno dei nostri club.
Credere che Holmes esista - o che perlomeno sia esistito - è un atto di fede di cui continueremo a cercare e a trovare le prove, sia pure per semplice diletto, perché tutti hanno bisogno di Holmes, anche coloro che non lo sanno. Da questo bisogno discende la necessità etica della sua esistenza.
Sulla lapide di Kant, a Konigsberg, è inciso uno dei suoi più celebri aforismi: 'Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me.' E come vedremo in seguito la necessità etica, per quanto soggettivamente percepita, emana direttamente da Dio, dall'universale, ragion per cui la necessità soggettiva dialetticamente trascende in necessità oggettiva.

Piano logico-metafisico

A tutt'oggi non siamo in grado di dire se Sherlock Holmes sia vivo o morto. Per rigore d'indagine siamo costretti a considerare anche l'ipotesi - aberrante seppur plausibile in una fase preliminare - che non sia mai esistito avanzata da certuni. In quest'ultimo caso tuttavia il dilemma vivo-morto risulterebbe vano. Ritornando quindi ad assumere come valido l'enunciato della sua esistenza, il dilemma sussiste, in quanto esistono prove raccolte dagli agiografi in grado di dimostrare entrambe le tesi. Bisogna purtroppo ammettere però che col passare degli anni la linea di pensiero di chi lo ritiene morto acquista seguaci e probabilità.
Non ritengo d'altra parte corretto eludere il problema, almeno in sede logico-metafisica, ricorrendo alla tesi degli holmesiani totalitari fondata sull'identità mistica vita-morte.
Per sfuggire a queste antinomie della Ragione sarà più utile affrontare il quesito della sua esistenza con un approccio pragmatico e considerare prima le imprese per poi risalire al personaggio che le ha compiute.
Se le sue imprese continuano ad essere credute da molti - migliaia di persone si recano nel Devonshire in cerca delle tracce del castello dei Baskerville, solo per fare un esempio - perdono relativamente d'importanza sia i protagonisti sia i cantori (o inventori) delle stesse. Quindi anche il dilemma canone-apocrifi , strettamente conseguente al problema cronista-inventore, perde di senso, purché la saga - beninteso attraverso avventure credibili - continui ad essere narrata.
Lo scetticismo, corrente filosofica originata dal pensiero greco ventitré secoli fa e a tutt'oggi più viva che mai, ma soprattutto atteggiamento mentale indispensabile a qualunque ragionamento degno di questo nome, insegna a dubitare di ciò che viene convenzionalmente giudicato 'realtà'. Il sublime vescovo Berkeley - anche lui irlandese come il Nostro - formulò il detto profetico 'Esse est percipi', 'solo ciò che noi percepiamo esiste'. Una realtà esterna, indipendente e oggettiva, è frutto di pura astrazione, sosteneva. I confini tra storia e leggenda sono quanto di più labile esista, la storia è molto spesso il racconto di imprese sognate ma non veramente compiute dai grandi uomini che ne hanno segnato le tappe, o magari le bugie di adulatori e propagandisti, sosteneva il grande storico Carlyle nel 1833 in 'Sartor Resartus'. Dichiarò anche che la storia è un infinito libro sacro che ciascun uomo scrive e legge e nel quale sono scritte le sue gesta che lui stesso può leggere.
'Il mondo esiste per approdare a un libro', celebre affermazione di Mallarmè riportata da Borges, potrebbe essere la frase d'apertura di un manifesto ideale per i nostri club. E Borges, la cui poesia su Sherlock Holmes opportunamente appare su ogni numero dello 'Strand', ci fornisce con i suoi sottili giochi metafisici la chiave di accesso all'universo filosofico e letterario dei 'veri' sherlockiani.
'La storia della letteratura potrebbe vivere di vita autonoma ed essere portata a compimento senza menzionare un solo scrittore' scrisse Paul Valery, e il panteista Silesius nel XVII secolo scrisse che tutti gli autori sono un solo autore di un unico infinito libro. Nel Don Chisciotte di Cervantes scopriamo che i personaggi del romanzo citano nella seconda parte fatti e dialoghi riportati nella prima, cioè che hanno letto il romanzo di cui sono personaggi. Il russo Michail Bachtin, massimo studioso di Dostoevskij, spiega la grandezza dell'innovazione stilistica di Dostoevskij, creatore del romanzo polifonico, con la capacità di dare vita autonoma ai personaggi e di lasciar confondere la voce dell'autore tra le voci dei personaggi.
La storia del pensiero occidentale, senza citare quello orientale da sempre orientato in tale direzione, è ricca di riflessioni e studi che aprono la strada ad un progressivo svuotamento di senso delle tradizionali distinzioni tra reale e immaginario, tra libro e autore, tra realtà e racconto, tra personaggi e autori, tra 'canone' e 'apocrifi', tra storia e leggenda. La filosofia fenomenologica del novecento, Husserl ma ancor più Merlau-Ponty, conferma e approfondisce l'enunciato di Berkeley 'Esse est percipi': nella scuola fenomenologica la coscienza è la sola vera sede della percezione e della conoscenza, luogo di incontro privilegiato tra soggettivo ed oggettivo.
La fisica e la filosofia della scienza non sono da meno. La teoria della relatività e la teoria dell'indeterminazione di Heisenberg eliminano dal panorama scientifico la concezione della realtà come entità oggettiva e indipendente dalle nostre percezioni, insieme alle residue concezioni materialistiche e meccanicistiche del passato. La realtà immateriale e virtuale, ultime conseguenze tecniche del progresso scientifico, ne sono la riprova.
Coloro che oggi si dannano chiedendoci se Sherlock Holmes sia veramente esistito o no, specialmente se lavorano in un luogo 'irreale' come la televisione, risultano patetici come chi, sentendo dire che un asino vola, si affanna per ore ed ore a dimostrare agli altri che il fenomeno è impossibile. Alla fine sembrano più accaniti e faziosi di noi i nostri avversari, che si danno un gran da fare per dimostrare che Sherlock Holmes è inesistente. Coloro che amano vivere rinchiusi in quel territorio rassicurante convenzionalmente inteso come realtà, sono gli stessi che temono ogni verità. Sospetto che non ne vogliono ammettere l'esistenza perché insinuerebbe nelle loro menti, per ovvia simmetria, il dubbio di essere fittizi.
Ciò che conta quindi sono le storie, non chi le narra, non la presunta realtà o meno dei personaggi né la distinzione canone-apocrifi. Conta soltanto la bellezza delle storie, perché è nella loro bellezza e nella loro capacità di suscitare l'interesse del mondo, che sta la loro credibilità.
Per fare ciò bisogna entrare nella testa di un personaggio finora poco esplorato, il loro casuale narratore-cronista-inventore, che potremo chiamare provvisoriamente il dottor Doylson. La conoscenza approfondita dell'ambiente storico-geografico-culturale-psicologico del dottor Doylson ci consentirà di ripescare dal baule e/o ricostruire nuovi casi investigativi, quelli che il Dottore non ha mai avuto tempo o voglia di raccontare al pubblico.
Tuttavia, così come un'automobile senza motore non può partire, le avventure di Sherlock Holmes non possono essere raccontate senza Sherlock Holmes, altrimenti sarebbero tutt'altra cosa. Perciò, dato che le sue imprese vengono ancora insistentemente richieste e narrate, come può il mondo fare a meno di chi le ha compiute? Da questa constatazione discende ancora una volta la necessità oggettiva dell'esistenza di Sherlock Holmes.

Piano liturgico-letterario

Affinchè le imprese di Sherlock Holmes vengano narrate con la necessaria competenza e con giusta devozione, è categorico attenersi scrupolosamente alle indicazioni contenute nel decalogo di E. Solito in 'L'arte di creare un apocrifo' ('Strand Magazine', n°3, inverno '97) ,opera senza la quale le modeste considerazioni qui esposte non avrebbero mai visto la luce.
Analiticamente, i punti 1 e 2 vanno considerati alla stregua di dogmi assoluti. Degno di nota il punto 4, decisivo il punto 6, rimarchevole il punto 5, nel quale però è contenuta, proprio nelle ultime tre righe, un'ingenuità: se è vero che per la storia della Calcutta Cup sarebbe necessario un lungo lavoro di ricerca sulle linee ferroviarie inglesi di fine '800 - ma quante preziose informazioni sul funzionamento delle ferrovie possono già essere ricavate dalla bibliografia esistente! - è però inutile procurarsi l'elenco delle stazioni presenti sulle linee ferroviarie. Nel canone i nomi di molte cittadine e villaggi sono totalmente inventati, quasi sempre deformando il prefisso o il suffisso di nomi reali o incrociandoli tra loro., come accade per quasi tutti i nomi dei villaggi intorno a Dartmoor in 'Il mastino dei Baskervilles'. Inoltre potrebbe esistere un'infinità di deviazioni o modificazioni non documentate di certe linee ferroviarie di fine '800. Ma questi sono solo dettagli.
La vera divergenza con E. Solito nasce dal punto 3, quando sostiene che è vietato indulgere in parodie del carattere dei personaggi (Holmes e Watson nella fattispecie) e soprattutto che Holmes non deve mettere Watson alla berlina o esporlo al ridicolo. A questi argomenti mi vedo costretto a opporre due serie obiezioni.
1) La parodia è un genere letterario nobile, da Cervantes a Rabelais fino a Dostoevskij, il quale non solo ha usato le tecniche della parodia per creare grandi personaggi letterari (in particolare in 'I demoni' e 'I fratelli Karamazov') ma ha parodiato perfino alcune delle massime idee filosofiche dell'epoca, dal socialismo al liberalismo fino al cattolicesimo dei gesuiti. Quanto alla coppia Don Chisciotte- Sancho Panza, sempre per quanto riguarda la serietà della parodia, credo ci sia ben poco da dimostrare. (A proposito, la coppia di Cervantes non vi ricorda qualcuno?)
Il problema è piuttosto come usare le tecniche della parodia, l'arte cioè di non trasformare elementi di parodia in volgari caricature, come certamente accade nello Holmes brasiliano giustamente censurato da Solito. Est modus in rebus.
A dimostrazione di ciò va ricordato che nel canone Holmes viene spesso rappresentato come una parodia di se stesso. Nella sua personalità, in certi suoi caratteristici tic sono presenti dei lati grotteschi ed eccessivi (staffilare cadaveri, abusare di cocaina senza portarne i segni, il VR con cui adorna a revolverate la parete del salotto, le abduzioni ovviamente truccate e spacciate per deduzioni con cui spiazza gli interlocutori, le più svariate monografie da lui scritte non si sa bene quando, la capacità profetica (La valle della paura), il tabagismo folle al limite delle possibilità fisiche, i travestimenti a carico di una spina dorsale elastica oltre ogni immaginazione ed altre eccentricità) che sarebbe sbagliato far cadere, perché rappresentano tratti salienti di una personalità straordinaria. Si sa che le stranezze e gli eccessi di una persona sono ciò che ce la rende più familiare e interessante.
2) L'arroganza è un tratto distintivo della personalità di Holmes, direi perfino un tratto necessario della sua genialità. E' però un'arroganza di genere benigno, perciò più accettabile. Non è il gusto di ostentare la propria superiorità di fronte al mondo o di umiliare il prossimo - spesso agisce in modo da non far apparire in pubblico il suo nome - non indulge nel culto della propria personalità. Piuttosto non riesce a frenare la propria insofferenza verso menti meno capaci della sua e si incattivisce solo verso chi, per puro amor proprio, non accetta di sottomettersi al primato della razionalità. La sua è un'arroganza secondaria e non primaria, mitigata dal fatto che lui personalmente accetta senza remore il dominio della Ragione, anche perché sa bene di incarnarla. Questa sua fede gli rende intollerabile il predominio della mediocrità e dell'irrazionalità. I maltrattamenti a cui periodicamente sottopone il fido Watson dipendono dall'insofferenza verso la sua 'normalità', così come le punzecchiature, a volte maligne, dipendono anche dalla lunga convivenza. L'ironia, come insegna Freud (e ci tramanda Stefano Guerra), è una delle forme socialmente accettabili attraverso cui viene scaricata l'aggressività. Ciascuno di noi sa, per esperienza diretta, quanta aggressività si possa accumulare nei rapporti di convivenza. Sarebbe forse preferibile un Holmes esasperato che insulta e scaglia piatti contro il povero Watson? Un idillio forzato, d'altra parte, renderebbe solo più piatta e meno vitale la nostra coppia.
Mi è stato riferito che la scuola inglese è di parere diverso. Sarà bene tuttavia ricordare che le origini di Holmes - nonchè del dottor Doyle, per quel che può importare - non sono inglesi, ma irlandesi e in generale celtiche. Il pittore francese Vernet, antenato del Nostro, ne è la testimonianza più illustre. In più di un'occasione Holmes ha avuto modo di osservare che il genio è quasi sempre celtico o latino e assai di rado di pura ascendenza anglosassone. Ma sulle origini celtico- irlandesi di Holmes rinvio il lettore al modesto lavoro da me pubblicato sul catalogo Mystfest del 1987. E poi alla fine, come tutti sanno, gli irlandesi sono sempre stati dei gran burloni!

Avvertenza

A chi pensasse di demolire le argomentazioni esposte nel corso di questa indagine riducendole all'enunciato 'Sherlock Holmes è necessario perché ne abbiamo bisogno', tralasciando così del tutto il rapporto tra necessità soggettiva e necessità oggettiva, consiglio un'attenta lettura del capitolo sull'autonomia della morale in 'La critica della ragion pratica' di Kant'. In particolare segnalo le pagine nelle quali viene spiegato che la legge morale è universale e necessaria e trova la sua fondazione nel soggetto stesso e non nell'esperienza. Ciò significa che il bene di cui l'umanità e i singoli uomini hanno bisogno deve necessariamente esistere come postulato della legge morale, senza la necessità di ricorrere a prove empiriche o complicate dimostrazioni razionali. E così, quasi inavvertitamente, il nostro ragionare si è addentrato nel misterioso e affascinante territorio dell'inconoscibile, il 'noumeno'. Chiunque sarà in grado di valutare le conseguenze di tale sconfinamento sul problema dell'esistenza di Sherlock Holmes.
Solo sulla base di queste considerazioni sarà possibile in futuro proseguire il dibattito, ammesso che serva e che qualcuno ancora ne abbia voglia.