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L'Avventura della Lasiocampa quercus

ovvero, recensione in forma di apocrifo di Come fu ucciso Umberto Eco di G.Celli
(Piemme, Casale Monferrato, 2000)

di Alessandra Calanchi

Mi vedo costretto a riprendere la penna dopo un così lungo lasso di tempo per la sola e unica ragione che vi sono spinto dagli eventi; e voglio sperare che il mio affezionato pubblico di lettori, se ancora non si è disperso come le ultime foglie d'autunno, saprà ricompensare questo mio insolito resoconto con la consueta, devota discrezione.

Holmes e WatsonEro finalmente ben deciso a riporre gli innocui piaceri della scrittura nei più remoti cassetti della memoria, e mi accingevo a godere il meritato riposo di un vecchio medico ormai non più al passo coi tempi quando, alcuni giorni orsono, passando per le vie del villaggio di B. - che non dista che poche miglia dalla casetta dove mi sono ritirato da qualche tempo - il mio sguardo fu attirato dalla vetrina di un libraio che esponeva un interessante volumetto dalla copertina nera su cui figurava questo titolo: Come fu ucciso Umberto Eco. Oltremodo incuriosito, entrai nella botteguccia, dove un alacre commesso si affrettò a mostrarmi il libro - un arrivo recente, mi informò con zelo - firmato nientemeno che dall'illustre entomologo italiano Giorgio Celli. Cacciai subito una mano nel taschino del panciotto alla ricerca di un'abbondante manciata di spiccioli, e pochi minuti dopo, sulla via del ritorno, nell'ora magica del tramonto, avvolto da quel silenzioso torpore che sfiora i campi nelle ore che precedono il calar delle tenebre, già assaporavo il gusto della lettura serale, la mano appoggiata sulla copertina del libro che, per un infantile attacco d'impazienza, non avevo voluto nemmeno attendere che fosse incartato.

Riuscite a immaginare la mia delusione, subito sostituita da una crescente irritazione, allorchè, scorse le prime pagine del libro davanti a un bel focherello scoppiettante, mi resi conto che io e il mio amico e compagno d'avventure Sherlock Holmes figuravamo fra i personaggi? Non che il libro non fosse ben scritto, tutt'altro; provai anzi una certa invidia nell'osservare le disinvolte astuzie dell'autore, lo stile sobrio e raffinato insieme, e addirittura, lo ammetto, l'assoluta padronanza con cui il narratore reggeva i fili del gioco. Ma citare il più grande investigatore privato d'Inghilterra, che dico, dell'Europa intera senza - poichè ne ero certo pur non avendone avuto conferma - aver chiesto il suo permesso! Per poi prendersi beffa di lui e di me, distorcento la realtà dei fatti! Riuscii comunque a trattenere i miei sentimenti ribollenti, e giunsi in fondo al racconto. Un bel racconto, lo confesso: bello e in parte veritiero, poichè ispirato a un fatto realmente accaduto a me e a Holmes, anche se vi sono ovvie incongruenze che mi accingo a sottolineare.

Prevedevo (giustamente) che la notte sarebbe stata popolata da incubi; e difatti mi svegliai più volte in preda a un'incontrollabile agitazione, parendomi almeno in un paio di occasioni di vedere, proprio dinanzi al mio letto, Guglielmo di Baskerville (Il nome della rosa) travestito da rettore impadronirsi furtivamente della collezione di lepidotteri di Stapleton (Il mastino del Baskerville), per poi liberarsene con un lugubre ululato canino lungo i corridoi del DAMS di Bologna.

Attesi dunque il mattino, onde evitare che la collera trasparisse troppo esplicitamente dalle mie parole; dopodi chè mi sedetti allo scrittoio, e con tutta calma iniziai a scrivere il presente resoconto, il quale era animato dall'unica pretesa di restituire a Sherlock Holmes e a me tutta la nostra dignità, e dall'unico scopo di proclamare al mondo la verità. Fu solo dopo averlo terminato, e dopo averlo letto più volte, che lo sottoposi al mio illustre amico per avere il suo benestare affinchè fosse reso pubblico; benestare che mi fu concesso dopo una lunga risata (che non mancò di stupirmi e anche di impermalosirmi non poco), a patto che porgessi prima pubblicamente le mie scuse al caro Celli (parole sue), in quanto egli sapeva.. Darò dunque voce all'esplosione delle mie emozioni pur ammettendo di essermi sbagliato nel giudicare l'autore del libro e la natura dei legami fra lui e Holmes.

Innanzitutto, è vero che io e Holmes ci trovavamo, quell'estate, a Cattolica per il Mystfest. Perchè farne mistero? Ognuno ha le sue debolezze, e mentre io mi godevo le piacevolezze serali della tavola romagnola (piadina e sangiovese) lui vagava per il festival del giallo. Travestito, naturalmente. Precisiamo subito, però, che io non indossavo alcun costume a fiori sopra quello che Celli definisce ingenerosamente "qualche deposito d'adipe indiscreto", ma un sobrio indumento sportivo molto più consono alla vita sana e atletica che conducevo - nuotate di prima mattina e jogging nel pomeriggio, con sua buona pace.

Vorrei chiarire inoltre che non era, quella, la prima volta che Holmes visitava Cattolica e la Romagna. Ricorderete Anarchici e siluri, che la nostra semi-compatriota Joyce Lussu ha avuto la bontà di trascrivere alcuni anni orsono: lì Holmes appariva come un campione della democrazia inglese contro le micidiali torpedini sottomarine austro-tedesche, essendo stato convocato d'urgenza nelle Marche per ragioni di stato. Si era all'inizio del secolo ... eh, come passa il tempo ... e adesso eccoci a un nuovo inizio. Ma non disperdiamo le idee. Dicevo, dunque, che Holmes aveva già avuto occasione di passare per Cattolica, che non vi si annoiava affatto, e che anzi, detto fra noi, non era lì per caso, ovvero il festival era stato poco più che un pretesto perchè il delitto era stato annunciato.

Sapete com'è adesso, con la posta elettronica: sul sito del Mystfest erano corsi strani virus e strani messaggi si erano intersecati - dàgli al semiologo, Umberto fatti un bagno, Eco sei un geco ... ma nessuno vi aveva fatto caso. Nessuno, tranne lo zelante commissario Salvatore Loffredo, che con tutta fretta aveva convocato Holmes - e Holmes con altrettanta urgenza mi aveva ingiunto di preparare subito i bagagli.

I fatti, dopo, si svolsero pressapoco come li narra Celli; con alcuni dettagli che vorrei precisare. Tanto per cominciare, io sono un esperto di lepidotteri. Eh, questo Celli non poteva saperlo, ma Holmes non avrebbe mai dovuto perdonargli di avermi fatto apparire un perfetto ignorante. Vado a caccia di farfalle da una vita: se questo non c'è scritto nel Canone sarà colpa di quello scribacchino di Arthur Conan, non mia. Ma fui io - e Holmes può testimoniarlo - io, che riconobbi al volo i lasiocampidi! Io, che compresi che non erano stati attirati dalla luce della lampada ma dal feromone! E comunque - in tutta onestà - mai e poi mai Holmes si sarebbe sognato di ritenermi un "imbecille"!

Quanto alla camera chiusa a chiave dall'interno: andiamo, lo sappiamo tutti che sulla riviera romagnola qualsiasi porta si apre agevolmente anche quando è chiusa dall'interno (anche quelle del Grand Hotel). I portieri hanno mazzi enormi di doppie chiavi e passe-par-tout, e spesso gli albergatori ricorrono all'ingenuo stratagemma di usare le stesse chiavi per più stanze situate su piani diversi. Senza considerare le terrazze! I balconi! I ballatoi! E i camerieri, che per una piccola mancia riuscirebbero a entrare nella Torre di Londra e a uscirne indisturbati!

Passiamo al dentifricio. Si è mai sentito una balordaggine simile? E se Eco non si fosse lavato i denti? Se per uno di quei bizzarri casi del destino, l'illustre semiologo se ne fosse dimenticato? Oppure. Se, girellando per gli invitanti negozietti di Cattolica, si fosse invaghito di un dentifricio speciale - al timo, alla maggiorana, ai gusti esotici, naturale, biologico, macrobiotico, erotico, chi può dirlo? Se avesse gettato il vecchio tubetto nel cestino - e di lì fosse stato recuperato da una cameriera ladruncola, che magari poi avrebbe fatto una brutta fine giù al porto senza che a nessuno venisse certo in mente di indagare sulle farfalle? Eh, no, ho passato troppi anni con Holmes per sapere che un buon delitto non lo si prepara su un'ipotesi, su una congettura - si laverà di certo i denti - perchè l'imprevisto è sempre in agguato.

Non fu infatti così che Holmes risolse il mistero. Anzi, a onor del vero mi disse di non averlo risolto affatto, ma io ero certo che dietro quel delitto si celassero le oscure trame del potere, qualche arcana cospirazione, qualche faccenda governativa. E per discrezione mi imposi di non domandare più nulla su quel caso. Ma poichè, ora, avevo un disperato bisogno del suo permesso per poter riferire al mondo la mia versione dei fatti, mi decisi infine, con la cartella dei fogli sotto il braccio, a recarmisi a casa sua. Egli mi ricevette nel modo più cordiale, come sempre; aveva, naturalmente, indovinato la natura e lo scopo della mia visita; mi fece pertanto accomodare in una comoda poltrona, si sedette davanti a me, e iniziò a parlare. Riporto fedelmente il dialogo straordinario che si svolse quel giorno fra di noi, poichè nessun resoconto indiretto potrebbe rendere il modo personalissimo con cui Holmes riesce sempre a dissipare ogni dubbio e a riportare l'armonia.

- Eccola, caro Watson: la aspettavo. Ma prego, si accomodi. Vedo che ha scritto ... ahi, ahi, quella che vedo lì è una virgola di troppo. La tolga, la prego. Eh, Watson, la sintassi, la sintassi ... lasci da parte le sue farfalle, e curi di più la sintassi se vuole diventare un grande scrittore ...

- Holmes, lei non si smentisce mai ... Ebbene sì, ho scritto ...

- Lei crede che Celli si sia appropriato di quella nostra piacevole storia senza averne prima discusso con me. Vero o falso?

- Vero, Holmes. Ma ...

- Niente ma, caro Watson. Al contrario, Celli è stato mio ospite qualche tempo fa e insieme abbiamo concertato quel simpatico racconto.

- Ma il costume a fiori ...

- Caro il mio Watson! - fece Holmes prorompendo in una divertita risata. - Non è stato lei a insegnarmi l'arte dell'affabulazione? E poi, è questo che piace ai lettori. Io che fumo pipe gigantesche e lei che fa la figura dello sciocco. C'est la vie...

Ero risentito, ma qualcosa, quando mi trovavo nel campo magnetico di Holmes, mi tratteneva inchiodato alla poltrona.

- Perchè non ha scritto la verità? - sbuffai io.

- Quale verità? - replicò lui sardonico.

- Come fu ucciso Umberto Eco!

- Ma Umberto Eco non fu ucciso affatto, mio caro Watson. Ancora non l'ha capito? Non legge i giornali? Qualcuno le ha mai parlato dell'omicidio? Andiamo, Watson, mi fa vergognare per lei. Confondere realtà e finzione alla sua età, e con la sua esperienza.

Parlava seriamente, ma sorrideva. Accidenti a lui, dove voleva andare a parare?

- Ma se non fu ucciso, allora ...

- Mio buon Watson: allora, dedurrà, Celli non è un assassino.

- Esattamente!

- E invece no, Watson.

- Corpo di Bacco! Che intende dire?

- Intendo dire che Celli ha assassinato Umberto Eco, eppure Umbero Eco è vivissimo - molto più di lei e di me, gliel'assicuro.

- Come può essere? - annaspai io, già allo stremo. I fogli erano caduti sul pavimento e lì giacevano, sparpagliati e inutili.

- E' semplice: cerchi di riflettere, Watson. Celli ha ucciso Eco, è vero. E' innegabile. Ma non con le farfalle.

- Ecco! - esclamai io trionfante. Lo sapevo!

- Lo ha ucciso con la penna, Watson - proseguì lui, imperturbabile, indifferente alla mia interruzione fuori luogo. - Con la penna - o col computer, che è la stessa cosa. Lo ha ucciso non nella vita reale, ma come scrittore: una volta anche a me è successa la stessa cosa, si ricorda? Lo scrittore che vuole liberarsi del personaggio ... che lo butta giù dalla rupe ... Si ricorda, Watson?

- Beh, sì ... - balbettai io. - Ma non fu la stessa cosa ...

- Più o meno. Solo che io sono Sherlock Holmes: non un personaggio qualunque. Questo il povero Sir Arthur non lo aveva capito, pace all'anima sua.

- Eco, allora?

- Beh, anche lui ce l'ha fatta. Gli auguro una vita lunga almeno quanto la mia.

- E Celli?

- La auguro anche a lui: dopo tutto, siamo nell'anno del Giubileo e forse l'ergastolo sarà commutato con una pena più lieve.

- L'ergastolo??? - domandai io balzando su dalla poltrona. - Allora dove finisce la realtà? Dove comincia la finzione?

- Non parlo del Celli scrittore, ma del Celli personaggio. Se lo ricorda? Quello invidioso che uccide Eco con le farfalle.

- Oddio, mi gira la testa .. siamo daccapo ...

- Un consiglio, Watson: torni a casa e si legga il libro dall'inizio. E buon divertimento!