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Sherlock Holmes & Albert Einstein

di Enrico Solito

Albert Einstein era noto per la sua straordinaria intelligenza e per la sua eccentricità. A un giornalista, sbalordito per la sua abitudine di non imparare a memoria il proprio numero di telefono, replicò assai seriamente che il suo cervello era troppo prezioso per occuparlo a mandare a memoria numeri che poteva benissimo scrivere sulla sua agenda, e che solo uno sciocco l'avrebbe intasato con dati del tutto inutili. Per uno studioso di Holmes questa non è che una citazione del famoso aforisma del maestro, che sfoderò ad un attonito Watson per spiegare il suo rifiuto di conoscere la teoria copernicana:

"Vede, secondo me il cervello di un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilia di nostra scelta. L'incauto vi immagazzina tutte le mercanzie che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono col non trovare più il loro posto, o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d'altre cose, cosicchè diviene assai difficile reperirle. Viceversa, lo studioso accorto seleziona accuratamente ciò che immagazzina nel suo cervello. Ci mette soltanto gli strumenti che possono aiutarlo nel suo lavoro, ma di quelli tiene un vasto assortimento, e si sforza di sistemarli nell'ordine più perfetto. E' un errore illudersi che quella stanzetta abbia pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura. Creda a me, viene sempre il momento in cui per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna acquisita in passato. Di conseguenza è importantissimo evitare che un assortimento di fatti inutili possa spodestare quelli utili. - Ma qui si tratta del sistema solare! - esclamai. - Che me ne importa? Lei dice che giriamo intorno al sole. Se girassimo attorno alla Luna non cambierebbe niente per me o per il mio lavoro". (STUD)

Si tratta di una combinazione, o Einstein citava consciamente Sherlock Holmes?

La risposta a questo quesito si trova nella "Introduzione" che Einstein scrisse per il libro L'evoluzione della fisica di A. Einstein e I. Infeld (THE EVOLUTION OF PHYSICS, New York: Simon and Schuster, 1938),

" Nel regno della fantasia il romanzo giallo perfetto esiste.
Tale romanzo fornisce tutti gli indizi voluti e ci induce a costruire per conto nostro una teoria sul mistero che ne costituisce il soggetto. Seguendo gli indizi con la dovuta attenzione, giungiamo ad una soluzione completa prima ancora che l'autore ce la riveli alla fine del volume. E, contrariamente a quanto accade con i gialli di classe inferiore, la soluzione non ci delude e ci si presenta come e quando ce l'attendevamo.
E' forse lecito paragonare i lettori di un simile romanzo agli scienziati che di generazione in generazione continuano a cercare la soluzione dei misteri che il libro della natura racchiude? il paragone non calza totalmente ed in ultima analisi bisogna lasciarlo cadere; tuttavia esso ha del buono e con opportune modifiche ed estensioni può applicarsi agli sforzi della scienza per risolvere il mistero dell'universo.
Questo mistero non è stato ancora risolto, nè siam certi che esso comporti una soluzione definitiva. Le nostre letture ci hanno già molto fruttato, esse ci hanno insegnato i rudimenti del linguaggio della natura, ci hanno messo in grado di cogliere una serie di indizi e ci hanno inoltre procurato gioie ed emozioni al seguire il lento e spesso penoso progredire della scienza. Tuttavia ci rendiamo conto che, malgrado tutti i volumi letti ed assimilati, siamo ancora lontani dalla soluzione completa, ammesso, beninteso, che ne esista una. Ad ogni tappa ci sforziamo di trovare una spiegazione che si accordi con le correlazioni scoperte in precedenza. Non poche teorie, ammesse a titolo provvisorio, hanno spiegato molti fatti, ma la soluzione generale compatibile con tutte le correlazioni accertate non è stata ancora trovata. Non di rado una teoria apparentemente perfetta si rivela inadeguata alla luce di nuove letture; fatti nuovi emergono che la contraddicono e che essa non riesce a spiegare. Ma più leggiamo e più cresce la nostra ammirazione per la perfetta composizione del libro, anche se la soluzione generale sembra allontanarsi a misura che avanziamo.
Dagli ammirevoli racconti di Conan Doyle in poi , in quasi tutti i romanzi gialli viene il momento in cui l'investigatore ha raccolto tutti gli indizi occorrenti per arrivare per lo meno ad una certa tappa sulla via della soluzione. Quei fatti sembrano spesso strani, incoerenti e senza verun rapporto tra di loro. Ciò malgrado l'acuto detective si rende conto che per il momento non è il caso di spingere più oltre le ricerche e che soltanto la pura riflessione perverrà a stabilire una correlazione fra i fatti accertati. Egli si mette allora a suonare il violino, o si sprofonda nella sua poltrona fumando la pipa, e, vedi miracolo, ad un tratto scopre la correlazione. Anzi, non soltanto trova una relazione tra gli indizi che gli sono già noti, ma si rende altresì conto che debbono essersi prodotti taluni altri avvenimenti non ancora constatati. E siccome ora vede chiaramente da che lato bisogna cercare, può, se gli garba, avviarsi a raccogliere ulteriori conferme della sua teoria.
Lo scienziato che legge nel libro della natura, se è lecito usare una locuzione ormai stantia, deve trovare la soluzione da sè, non potendo, come sogliono fare i lettori impazienti di romanzi comuni, saltare alla fine del libro. Nel nostro caso il lettore è in pari tempo l'investigatore che cerca di spiegare, almeno parzialmente, i rapporti esistenti fra gli eventi della complessa e ricca trama. Per giungere anche soltanto ad una soluzione parziale, lo scienziato deve raggruppare i fatti caotici che gli sono accessibili e renderli coerenti ed intelligibili con il sussidio del proprio pensiero creatore."

Ci pare evidente concludere che il grande fisico apprezzasse l'opera di Watson al punto di volerla citare nella battuta del telefono.