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Sherlock Holmes a Milano

Di Carlo Oliva

Biblioteca "Villa Litta", Affori - 10 settembre 2000

Come a tutti è ben noto, Milano nel canone non figura affatto. Sherlock Holmes è legato all'Italia da tutta una serie di rapporti e collegamenti, fedelmente registrati da Watson e messi in rilievo dagli studiosi, ma nessuno di questi link sembra portarlo verso la nostra metropoli. Né è possibile, naturalmente, sostenere che il dato dimostra semplicemente il suo buonsenso, visto che a Milano, come sostengono in molti, meno ci si mette piede meglio è. Questo postulato sarà valido, probabilmente, al giorno d'oggi, ma non lo era all'epoca del nostro eroe. Milano, nei decenni attorno alla passata svolta del secolo, era un posto molto più piacevole, meglio amministrato e assai più vivibile di adesso. Il clima forse non era un granché neanche allora, ma in nessuna altra parte dell'Italia un amante delle nebbie londinesi avrebbe potuto trovare un'atmosfera altrettanto congeniale.

Tuttavia Watson non parla mai di visite sue o del suo amico a Milano. Come è noto, l'unica città italiana per cui afferma esplicitamente che Holmes sia passato è Firenze, dove sarebbe giunto lunedì 11 maggio1891, all'inizio di quel periodo di latitanza dalle cronache criminali comunemente noto come il "grande iato". In questa sede daremo anche per scontato che, prima di arrivare nel capoluogo toscano, il grande investigatore abbia trascorso una giornata a Bologna, come comunicato, sulla scorta di certi loro reperti, da Patrizia e Giampiero Benedetti e reso noto sul n. 5 della nostra rivista.

Ora, per arrivare a Firenze dalle cascate di Reichenau (dove Holmes sicuramente si trova la sera di martedì 4 maggio) entro l'11 dello stesso mese, da qualche parte - naturalmente - bisogna passare. Sull'argomento ha scritto, sullo stesso n. 5 dello "Strand Magazine" che abbiamo citato testé, il nostro Enrico Solito, che in materia sherlockiana "sovra gli altri quale aquila vola" e dalle sue conclusioni non sembra veramente possibile discostarsi. Se dunque Sherlock Holmes, come Solito dimostra ampiamente, è a Milano in tempo per partire per Bologna la mattina di lunedì 10 maggio, il nostro compito è semplicemente quello di chiederci quando vi ci sia arrivato e cosa diavolo abbia fatto nel capoluogo lombardo.

Su quando sia arrivato, in realtà, è piuttosto difficile pronunciarsi. Le fonti, in merito, sono assolutamente reticenti. Solito, a quanto si capisce, sembra propendere per la giornata stessa del 10, lasciandolo per ben tre giorni fermo nel Canton Ticino a procurarsi gli indispensabili documenti falsi. Il periodo, con tutto il dovuto rispetto per il nostro Presidente, sembra francamente esagerato. L'idea di un uomo della tempra di Sherlock Holmes bloccato per tre giorni a Lugano o a Bellinzona è difficilmente accettabile (anche perché quel fine settimana pioveva e neanche Sherlock Holmes avrebbe potuto resistere tre giorni nel Canton Ticino sotto la pioggia). Concediamogliene due e già sono fin troppi. Decideremo quindi, con un pizzico di arbitrarietà, che sia arrivato a Milano o la sera di venerdì 8 o, più probabilmente, la mattina di sabato 9, per prendere alloggio in uno degli ottimi hotel di cui la città andava fiera (magari all'Albergo dell'Ancora, sito all'angolo di corso Vittorio Emanuele e via Agnello, che era, a quanto riferisce la stampa dell'epoca, preferito dalle celebrità musicali e canore, nonché gestito da una famiglia ticinese e, quindi, avrebbe potuto essergli stato raccomandato a Lugano).

Quanto alle attività cui avrebbe potuto dedicarsi, in un piovoso sabato di maggio, un distinto visitatore inglese, non c'è molto da scialare. Il Cenacolo vinciano, in quei tempi felici, non era stato né bombardato né restaurato, e quindi era perfettamente visibile a chi volesse vederlo, ma nulla nel canone sembra indicare qualche interesse del nostro eroe per la pittura di Leonardo. Forse Holmes avrebbe considerato più di suo gusto una visita all'Esposizione Triennale di Belle Arti, che si era inaugurata al Palazzo di Brera venerdì 8. L'ipotesi, come vedremo, merita di essere presa in considerazione, anche se per motivi che con l'arte hanno poco a che fare.

A Milano, naturalmente, la principale meta per i visitatori era ed è la Scala. Sarebbe stato abbastanza logico per un appassionato di musica come Sherlock Holmes recarsi in devoto pellegrinaggio al massimo tempio della lirica. Allora, diversamente da oggi, non era impossibile procurarsi i biglietti. Ma, ahimè, la Scala sabato 9 e domenica 10 era inesorabilmente chiusa. La stagione lirica si era conclusa da tempo e proprio venerdì 8 si era svolto, alle 14 e 30, l'ultimo concerto sinfonico della Società Orchestrale. Il programma (piuttosto audace, per gli standard odierni) a Holmes sarebbe piaciuto senz'altro: comprendeva l'ouverture dell'Ifigenia in Aulide di Gluck, la Sinfonia in si bemolle di Schumann - un pezzo, all'epoca, assai poco noto, - la musica dei balletti dal Castore e Polluce di Rameau e dall'Armida di Gulli e, per finire, il Coro delle figlie del Reno dal Crepuscolo degli Dei di Wagner. Ma è davvero un po' difficile far quadrare tempi in modo da collocare Sherlock Holmes in platea (o magari nel loggione: i palchi erano tutti di proprietà) nel primo pomeriggio di venerdì 08. Peccato.

La Scala (dove peraltro non risulta abbia mai cantato Irene Adler) non esauriva, in quei tempi felici, la vita lirica milanese, ma le altre possibilità non sembrano incoraggianti. Al Dal Verme (che, per quanto possa sembrare strano ai milanesi di oggi, allora funzionava) sabato 9 era in programma la Lucrezia Borgia di Donizetti, interpretata da Maria Vita: un'opera assai notevoli per gli amanti del belcanto tradizionale, ma sappiamo che tra essi non figurava, ahimè, il nostro Sherlock. Al teatro Pezzana andava in scena la Clotilde di Amalfi, ovvero i corsari di Giuseppe Giardino, un'opera che non ha lasciato un solco particolarmente pronunciato nella storia del teatro musicale. E aggiungeremo di passata che, ove il nostro eroe avesse desiderato, per una volta, passare alla prosa, non avrebbe trovato altro che In corte correzionale, una commedia in tre atti di Feydeau, in programma al Manzoni. Non proprio quanto di più confacente a suoi gusti si possa supporre.

Alcuni hanno suggerito che Holmes avrebbe potuto approfittare dell'occasione per fare un salto a Cremona, dove lo attirava la sua nota passione per il violino. L'ipotesi, però, va considerata impossibile dal punto di vista ferroviario, visto anche che l'Adda e il Po erano entrambi in piena, con grave minaccia alla sicurezza delle strade. D'altronde, alla fine dell'Ottocento, a Cremona, anche se non si offrivano ancora in vendita, come sembra si faccia oggi, degli strumenti importati dal Giappone, i laboratori di liuteria per cui la città era stata tanto famosa erano un ricordo del passato.

E allora? Se Sherlock Holmes, in una situazione così deprimente dal punto di vista dell'intrattenimento turistico, ha aspettato fino alla mattina del 10 per partire per Bologna, qualche motivo avrà ben dovuto averlo. Un motivo abbastanza riservato e confidenziale da giustificare il successivo, impenetrabile silenzio in materia.

Discettando da par suo dei vari paesi toccati dal nostro durante le peregrinazioni di quegli anni, Solito osserva, a proposito del Tibet, del Sudan e della Persia, che erano tutte delle regioni, in un certo senso, "di confine", di particolare interesse per la politica estera dell'impero britannico, il che naturalmente accredita l'ipotesi (non solo sua) che quel viaggio non fosse stato intrapreso solo per motivi personali, ma che Sherlock Holmes, probabilmente attraverso Mycroft, fosse stato investito di un certo ufficioso ruolo diplomatico.

Ora, è interessante notare che anche il nostro paese, nel suo piccolo, all'epoca, si poteva ascrivere a pieno titolo a questa categoria. Nel 1891, naturalmente, l'Italia faceva parte da nove anni, con la Germania e l'Impero Asburgico, della Triplice Alleanza, il blocco continentale creato dal Bismark in funzione antibritannica e antifrancese e rafforzato nel 1888 da una ferrea convenzione militare. Il Bismark non c'era più, ma l'Alleanza sì, anche se nel maggio del '91 era prossima alla scadenza, tanto è vero che già erano in corso delle trattative segrete (ma non certo ignote all'efficientissima Intelligence di Sua Maestà) per rinnovarla. Se quelle trattative non fossero andate a buon fine, per il governo di Londra sarebbe stato un gran bel colpo. Non avrebbe più dovuto avvicinarsi alla Francia e alla Russia, a prezzo di fastidiosi compromessi in Tibet, nel Sudan, in Persia o altrove, ma avrebbe avuto la possibilità di continuare a giocare in proprio come unica superpotenza a livello mondiale (un po' come fanno oggi, ahinoi, gli Stati Uniti).

È certo che dei paesi componenti l'Alleanza, l'Italia, dal punto di vista inglese, fosse il più interessante. La Triplice era stata voluta fermamente dalla Corona e dai vertici militari, per motivi soprattutto di politica interna, ma non era esattamente popolare nel paese. I circoli democratici, compresi quelli moderati, erano tuttora molto legati alla tradizione risorgimentale dell'amicizia con la Francia (e l'Inghilterra). La questione dell'irredentismo turbava inesorabilmente i rapporti con Austria. Inoltre, l'autoritarismo del nuovo Kaiser, Guglielmo II, che era stato ricevuto a Roma con gran pompa nell'agosto del 1888, suscitava non poche preoccupazioni e anche a chi della democrazia parlamentare non era particolarmente sollecito l'idea di un'Italia alleata agli Asburgo non andava davvero giù. È soltanto ovvio che queste contraddizioni aprissero notevoli spazi al gioco diplomatico internazionale. Non saranno mancate, in vista della scadenza del1892, lusinghiere offerte al governo italiano perché cambiasse di fronte (come, in effetti, avrebbe fatti ventitré anni dopo). Ma naturalmente, in materie di questa fatta, la riservatezza era condizione essenziale. L'emissario di Sua Maestà avrebbe dovuto essere un personaggio affatto ignoto alle cancellerie e capace di muoversi nel più stretto incognito.

Il maggio del 1891 era particolarmente propizio per la venuta di un tale emissario. Era caduto, nel precedente febbraio, il primo gabinetto Crispi, e al governo sedeva il marchese Antonio Di Rudinì, a capo di una coalizione moderata di centro destra (anche se integrata da ministri la cui storia li riconduceva a sinistra, come era il caso di Giovanni Nicotera agli Interni). Il Crispi, si sa, era legato a filo doppio con Umberto I e poteva essere comsiderato il principale fautore della Triplice, che per lui era la migliore garanzia possibile di una politica di potenza coloniale e del rafforzamento del potere dell'esecutivo e del ruolo dell'esercito. La coalizione del Di Rudinì, invece, pur con mille esitazioni e un'infinita prudenza, cercava di modificare questa politica. Il riavvicinamento con la Francia (e quindi con il Regno Unito) era uno dei principali obiettivi diplomatici di quel governo.

Inutile obiettare che Sherlock Holmes era estraneo all'ambiente diplomatico. Questa era appunto la condizione necessaria. E poi estraneo non significa sconosciuto: le cancellerie italiana e britannica non avranno certo ignorato il ruolo che aveva avuto due anni prima nella spinosa questione del Trattato navale.

Bene. Basta scorrere i giornali di quei giorni per notare un fatto strano: la presenza a Milano di uno dei membri più eminenti del governo Di Rudinì. Ci riferiamo a Pasquale Villari (1826-1917), formalmente Ministro della Pubblica Istruzione, ma, di fatto, uno dei leader storici del partito moderato, nonché storico e pensatore politico tra i più insigni.

Già la presenza di un ministro in quella data a Milano è un fatto, in sé, straordinario. Erano giorni piuttosto agitati. La celebrazione del 1° maggio, la ricorrenza promossa due anni prima dall'Associazione Internazionale dei Lavoratori per promuovere la causa di lavoro in lotta contro capitale (perché, parrà strano, ma all'epoca le organizzazioni di sinistra si occupavano di queste cose) era stata tutt'altro che pacifica. A Roma s'erano avuti "gravi disordini", con cariche di polizia e la morte di una guardia, un carabiniere e chissà quanti manifestanti. Pochi giorni dopo, era stato arrestato il principale oratore della giornata, l'anarchico Amilcare Cipriani, graziato appena tre anni prima dopo otto anni di deportazione in Nuova Caledonia, e l'arresto, va da sé, aveva nuovamente infiammato le piazze. A Milano la situazione era solo un poco più calma, tanto vero che al teatro della Cannobiana aveva parlato regolarmente l'avvocato Filippo Turati (in aspra polemica con i parlamentari democratici e repubblicani, che, invitati a prender parte alla manifestazione, dapprima avevano risposto di sì, ma poi se n'erano ben guardati), ma non erano mancati i disordini: scontri e tumulti allo stabilimento Lanzesi, occupazione dello stabilimento Meinhert a Porta Volta, la chiusura forzosa di numerose altre fabbriche, e, a sera, una manifestazione "abortita" in piazza Duomo, con almeno un ferito. Nei giorni successivi si erano avuti arresti e processi in tutta Italia e polemiche di fuoco alla Camera (dove il governo era stato accusato di aver tenuto un atteggiamento troppo poco energico). Per di più, sempre alla Camera, era in corso un fondamentale dibattito sulla politica africana, un tema che divideva traversalmente la maggioranza e l'opposizione e richiedeva, comunque, il massimo impegno delle forze politiche.

Che un ministro, in tale frangente, perdesse del tempo a Milano è praticamente incredibile. Soprattutto se si considerano i motivi addotti e riportati dai giornali: l'inaugurazione, l'8 maggio, della citata Esposizione Triennale di Belle Arti (e passi) e quella, il giorno dopo, dell'Esposizione dei Giocattoli e dell'Igiene Infantile. Ora, va bene che il Villari era Ministro della Pubblica Istruzione, ma con i giocattoli e l'igiene infantile aveva davvero poco a che fare.

L'ipotesi che salta subito agli occhi è quella che il governo italiano, aspettando a Milano per l'8 il 9 maggio, un illustre visitatore in incognito, latore di chissà quali allettanti offerte diplomatiche da Londra, abbia pregato uno dei suoi membri più autorevoli, presente in nella nostra città per partecipare all'inaugurazione, da tempo programmata e non rinviabile, della Triennale, di trattenersi ancora per un giorno, cogliendo la prima scusa disponibile, onde incontrarlo. E i componenti della segreteria del Villari niente di meglio avranno saputo o potuto trovare, così all'ultimo momento, della cerimonia di apertura dell'Esposizione del Giocattolo e dell'Igiene Infantile.

Come e in che circostanze sia avvenuto l'incontro non è dato sapere. A occhio e croce, Sherlock Holmes può essere stato avvicinato dai collaboratori ministro alla Triennale, per fissare un successivo appuntamento Ma a Milano non dovevano mancare gli agenti tedeschi e austro-ungarici, per cui tutto deve essere avvenuto nel massimo segreto.

Sherlock Holmes, come sappiamo, sarebbe partito il giorno dopo per Bologna e Firenze. Non può dunque aver avuto un ruolo nelle trattative che sicuramente saranno seguite in sede appropriata. La sua funzione, probabilmente, sarà stata solo quella di un semplice latore, che, in diplomazia, non significa semplicemente un fattorino. Con il Ministro, che, caso raro tra gli intellettuali del suo tempo, non ignorava l'inglese, avrà certamente parlato. Ma in seguito gli sarà certamente subentrato qualcun altro. Un incapace, presumibilmente, perché il progetto, come lo abbiamo ricostruito, non avrebbe avuto seguito e la Triplice sarebbe stata regolarmente rinnovata entro lo stesso 1891, con le nefaste conseguenze ben note.

Ma questo non fu certo colpa sua. Anzi, di un tentativo che, se riuscito, avrebbe risparmiato all'Italia gli orrori della prima Guerra Mondiale, dobbiamo essergli grati.