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Holmes e la psicanalisi

di Stefano Guerra

Il mio tema è un tema su cui sto riflettendo da parecchi anni: le riflessioni sui rapporti tra Holmes e la psicanalisi mi hanno anche portato a intervenire in diversi convegni. La mia professione è quella di psicanalista e pare dunque che per una ovvia e necessaria che uno psicanalista parli appunto dell'indagine investigativa, perchè molti ritengono, suppongono, immaginano, che la psicanalisi si svolga appunto come una indagine investigativa. Forse sarebbe stato l'aspetto più divertente e frivolo del mio intervento . in cui avrei potuto raccontare vari aneddoti della mia carriera, in cui mi sono divertito a fare proprio il verso a Sherlock Holmes : ma questa sera ho deciso di risparmiarvi. Vi prego di prendermi in parola : è vero che noi psicanalisti a volte usiamo il giochetto di fare gli investigatori. Ma non solo questo è il nostro lavoro, e al di là delle somiglianze, che pure ci sono, io vorrei piuttosto parlare delle differenze che esistono tra la professione di psicanalista e quella di consulting detective : e sopratutto delle differenze tra i due metodi, una in particolare, che va per una volta a vantaggio della psicanalisi, e di cui parlerò in fondo.

Un breve excursus su come gli psicanalisti hanno interpretato Sherlock Holmes, dal punto di vista delle caratteristiche psichiche del personaggio.

Molti psicanalisti si sono sbizzarriti nel dare di Holmes varie interpretazioni. In generale devo dire che questo tipo di cose non mi hanno mai particolarmente divertito : vi cito soltanto, tra gli altri, il lavoro più autorevole in Italia , che è quello recente dell'Argentieri ( l'articolo "Lo strano caso del Sig. H.", pubblicato nel catalogo del Mystfest e nella Agenda dell'anno successivo). In questo articolo l'Autore liquida in due colonnine, con una serie di ipotesi tutto sommato non particolarmente originali, la figura di Holmes, dicendo che, se veramente Holmes fosse stato in cura da Freud, questi avrebbe detto che il detective era un ossessivo, ma forse un ciclotimico...ma forse in fondo la buona vecchia isteria...ma sì, sarebbe stato definito sicuramente un isterico. Poi lascia perdere Sherlock Holmes e si mette a parlare di Sir Arthur Conan Doyle. E comincia a dire che il padre di Sir Arthur era finito pazzo...che forse a causa di della paura di questa pazzia Conan Doyle era così razionale...un lungo discorso su questo medico dei primi del secolo, neppure poi professionalmente così celebre. Ora, voglio dire : ma cosa importa a noi di Sir Arthur Conan Doyle? Chi era Sir Arthur Conan Doyle ? Un...un prestanome. Un personaggio di nessun rilievo, di nessun interesse. Noi stiamo lavorando su ben altro.

Mi ritrovo francamente molto di più in un altro genere di interpretazione, che ha letto Holmes come un adolescente. E' una interpretazione che spiega a mio avviso tra l'altro anche meglio il successo che Holmes ha avuto. "Holmes era un isterico". E perché mai il pubblico avrebbe dovuto innamorarsi proprio di un isterico ? Ce ne sono così tanti di isterici...Invece l'adolescente, l'eterno adolescente, quell'adolescente che non vuole crescere, è indubbiamente affascinante. Holmes è un adolescente perché lo è nel suo modo di affrontare le indagini come battute di caccia, nel suo modo di vivere la sua amicizia con Watson : una amicizia in cui le donne non entrano perché non sono ancora arrivate. Loro naturalmente, come tutti gli adolescenti, sono in bilico tra il bisogno di autonomia, di essere grandi, e il bisogno di dipendenza (che ben conosciamo in Holmes...). Per molti crescere vuol dire scegliere, e scegliere vuol dire rinunziare all'adolescenza, rinunziare alle potenzialità, alle fantasie, agli ideali : io credo che per questo ci piace tanto Holmes: perché identificandoci con lui possiamo mantenere ancora vivo l'adolescente che non ha ancora scelto, ma non ha ancora nemmeno scelto di rinunciare ai suoi ideali.

Ma Holmes per noi psicanalisti ha rappresentato anche una fonte di riflessione assai seria dal punto di vista metodologico. Nel 1979 in Italia ci si è accorti , grazie a Carlo Ginzburg, che era possibile tracciare dei paralleli tra la metodologia Holmesiana e altre due metodologie, quella psicanalitica e quella della critica d'arte. Ginzburg ha messo l'accento su un fatto: che in psicanalisi si usa quello che lui chiama "il paradigma indiziario" (e cioè lo studio a partire dagli indizi) ed era stato un medico, Freud, a parlarne per primo , che per quanto riguarda Sherlock Holmes era ancora un medico a costruire questa metodologia, e che anche un famoso critico d'arte, Giovanni Morelli, che si firmava con lo pseudonimo di Lermoier, era un medico. Tutti e tre partivano dall'idea che era molto più importante partire dagli indizi che non dalla visione globale del problema da risolvere (che era per uno una trama gialla, per l'altro l'attribuzione di un quadro e l'ultimo un problema psichico).

A proposito di questo discorso dei piccoli particolari, voi sapete che Holmes sostiene che basta osservare i piccoli particolari (che lui, e non gli altri, sa osservare) e l'enigma si risolve con facilità. Questo sembrerebbe essere un atteggiamento induttivista ingenuo, visto che la filosofia della scienza ha successivamente dimostrato che in realtà se non si sa cosa osservare, non si osserva un bel nulla. Holmes nel descrivere così il suo metodo bluffa o mente: in realtà il problema è invece che cosa bisogna osservare, e una volta osservato, come si fa da quelle osservazioni ad arrivare a quelle conclusioni cui poi Holmes arriva.

Allora l'attenzione degli studiosi si è spostato (qui ci sono molti altri lavori, il più illustre dei quali è forse quello di Eco dell'83) sul metodo di Holmes, che non è un metodo deduttivo, ma ipotetico congetturale. Un metodo che sostanzialmente non mette in una relazione necessaria gli eventi che sono messi in relazione, ma in quello che, come dice Marramao, già Aristotele aveva chiamato una relazione ipotetica . Per fare l'esempio classico del sacchetto di fagioli, se io entro in una stanza e vedo un sacchetto vuoto sul tavolo e dei fagioli accanto a questo sacchetto, io posso ipotizzare che i fagioli provengano dal sacchetto, ma non ne sono sicuro così come se li avessi visti togliere dal sacchetto, o ce li avessi messi io. Un metodo che quindi in qualche modo indovina, è questo il metodo di Holmes. Allora il problema è: perchè Holmes indovina le cose giuste e altri indovinano invece quelle sbagliate ? Perchè Holmes riesce a pensare delle cose cui gli altri non pensano ? Questo probabilmente è l'aspetto più interessante di tutta la metodologia. Devo dire che Marramao conclude dicendo che anche il metodo Holmesiano è poi un metodo vecchio, positivista, anarchico ma all'interno di un ordine di significati e significanti che è poi rigido, mentre secondo lui il moderno modello della scienza fa saltare quest' ordine situazionale dello spazio tempo e prevede un particolare che non sia riconducibile all'interno di nessuno schema. Tuttavia io credo che la domanda sull'origine della creatività di Holmes sia interessante per vedere di capire in che modo possiamo utilizzare la sua metodologia, e se la usiamo, all'interno del moderno pensiero scientifico.

Holmes se la prende spesso con Watson perché gli dice in pratica che non osserva adeguatamente le cose. Poi però, in Barbaglio d'Argento, trova un fiammifero ficcato nel fango: Watson gli fa notare che non era possibile notarlo, se non si andava a cercarlo: e Holmes ribatte che è vero, lui "aveva immaginato che ci dovesse essere". Allora Holmes bluffa, non si limita ad osservare ma in realtà va alla ricerca del particolare : Holmes cerca il fiammifero lì perché ha già immaginato che le cose siano andate in un certo modo: e può immaginarlo perché nel suo pensiero si è liberato di un certo modo di pensare.

Ecco, in questo senso io credo che la psicanalisi abbia un certo vantaggio sul metodo Holmesiano, perché Freud è riuscito a capire questo: quando Freud insegnava ai suoi allievi, anche loro erano in difficoltà a capire le cose che diceva. Lui diceva :"sessualità infantile", "complesso di Edipo" e loro ribattevano, coprendosi gli occhi: "non voglio vedere". Allora Freud dice: "visto che io vi indico le cose, ma voi non volete vederle malgrado siano lì, davanti ai vostri occhi, dovrò usare uno stratagemma: io vi addestro. Vi faccio seguire a un processo di iniziazione: vi sottopongo ad una analisi". E così gli analisti hanno seguito un processo di analisi, Hanno imparato a vedere su se stessi le cose che vedeva il Maestro e così hanno imparato a vederle anche fuori di se. Holmes invece non è mai stato un Maestro, non ha mai capito che Watson aveva delle resistenze a vedere quello che lui vedeva. Ma perché? Per vedere queste cose, quelle che lui vedeva e Watson non vedeva, entrava in un mondo dove la realtà perdeva i suoi rigidi confini. Corsellini ieri era molto in linea con questo tipo di ragionamento: lui sosteneva che soprattutto il fumo, la pipa, determina quel tipo di atteggiamento mentale: noi potremmo pensare che anche la situazione di rilassamento, la casa, la poltrona, lo determinino: ma comunque è un fatto che Holmes, come già Dupin di Poe, riesce a cedere a questo mondo della conoscenza, ma anche dell'immaginazione, attraverso questo spogliarsi , questo astrarsi, questo essere completamente privo di contatti con la realtà materiale per entrare in un atro mondo (è ovvio che tutto ciò non ha niente a che vedere con gli effetti degli stupefacenti). E' la meditazione che gli consente di accedere a questo mondo della creatività.

Rimane qui un altro particolare riguardo alle differenze tra psicanalisi e metodo investigativo: perché poi alla fin fine Holmes dopo che ha immaginato nella sua mente la soluzione del problema, è vincolato ad un dato reale : è costretto ad andare a verificare la sua soluzione teorica nella realtà. Deve controllare nella realtà se quello che aveva immaginato era in effetti vero. In questo senso il rapporto di Holmes con la realtà è molto più vincolante di quello che abbiamo noi psicanalisti, perché quando noi psicanalisti ci siamo inventati una bella storia, insieme con i nostri pazienti ; quando i nostri pazienti sono soddisfatti della bella storia che noi abbiamo loro raccontato, o che loro hanno raccontato a noi, o che ci siamo raccontati insieme, questo per noi è sufficiente. Noi non abbiamo bisogno della realtà.