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Le lettere traslate

di Patrizia Rodi

Il 1895 fu davvero sorprendente. Per l'intero anno Sherlock Holmes si trovò a risolvere casi ed enigmi dalle caratteristiche più disparate, dando prova delle sue eccezionali facoltà deduttive.
I lettori ricorderanno l'avventura occorsa alla signorina Violet Smith, musicista eccellente e ciclista energica, sottratta ad un drammatico epilogo dall'acume e dalla prontezza di Holmes; il brillante ispettore Hopkins, che contese tenacemente al mio amico la cattura del pericoloso assassino responsabile della morte del capitano Carey; lo spiacevole incidente al collegio di San Luca; poi, verso la fine di novembre, la scomparsa dei piani del sottomarino Bruce-Partington, una vicenda che ormai appartiene alla storia.
In quello stesso anno un altro caso vide impegnato Holmes; un caso che si dimostrò insolito fin dall'inizio, non solo per i fatti specifici ad esso relativi, ma anche per la singolare personalità della signorina Margherita Sevi. La signorina Sevi fece la sua prima visita in Baker Street alla fine di settembre.
Quella mattina Sherlock Holmes era intento in un esperimento di chimica, ricurvo sul suo tavolo da lavoro tra provette e composti dall'aspetto ripugnante. Io me ne stavo tranquillamente seduto vicino alla finestra a leggere il giornale: scartati il resoconto della cattura notturna di una banda di giovani ladruncoli, e dell'ennesimo tentativo, da parte della polizia, di localizzare una coppia di falsari del Galles, un articolo di carattere medico aveva attratto completamente la mia attenzione. Distratto dalla descrizione delle teorie più recenti nella cura delle monomanie, sviluppate da alcuni psicologi francesi, non udii, se non con un leggero ritardo, la voce di Holmes.
- Volete essere così gentile da porgermi il barattolo di zolfo? Si trova sul terzo ripiano: contrassegnato con la lettera S, naturalmente. Se l'esperimento riesce, tutti i trattati di chimica applicata dovranno essere riscritti, ed io stesso sarò costretto ad aggiungere un'appendice consistente alla mia monografia sulle reazioni molecolari... Ah! Grazie, Watson.
- Un lavoro che ho letto con interesse, ma che temo resterà incompleto...
Con uno scatto appena percettibile Sherlock Holmes sollevò la testa e stringendo delicatamente le due provette che stava studiando si voltò. Non saprei dire con assoluta precisione se l'espressione di stupore e disappunto che apparve sul suo viso fosse stata determinata dalle parole udite o, piuttosto, dalla figura che inaspettatamente Holmes si era trovato di fronte: una giovane donna dai lunghi capelli castani, aggraziata e minuta. Nella mano sinistra teneva il coperchio del barattolo di zolfo, mentre con la destra reggeva una voluminosa borsa di cuoio, dall'aspetto decisamente poco femminile.
Holmes strinse le labbra sottili, diede un'occhiata alla donna e sollevò la testa verso di me con uno sguardo di rimprovero. Da parte mia, comunque, ero sorpreso almeno quanto lui, sebbene certamente meno contrariato nei confronti di quell'ospite inattesa dall'aspetto tanto grazioso. Ma, conoscendo Holmes, ero certo che quest'ultimo particolare non avesse attirato la sua attenzione: non era la prima volta che il mio amico dava prova della sua assoluta insensibilità verso il fascino femminile.
Prima che potessi dire qualcosa, Holmes, dopo aver chiamato la signora Hudson, era tornato ad occuparsi della reazione chimica che stava sperimentando: versò una parte di zolfo nella prima provetta, attese un istante, poi travasò la sostanza così ottenuta nella seconda provetta, osservandola con attenzione, dopo averla sollevata all'altezza degli occhi.
- La signora Hudson non c'è - disse la giovane donna. - L'ho incontrata davanti all'ingresso: stava uscendo. Credo fosse diretta alla bottega all'angolo, probabilmente per acquistare qualcosa di cui si era ritrovata inaspettatamente sprovvista. Ovviamente si è offerta di salire ad annunciarmi, ma mi è parso avesse molta fretta, così l'ho convinta a lasciarmi presentare da sola, rassicurandola che avrei risposto personalmente per questa mia palese ineducazione. D'altra parte voi, signor Holmes, siete un uomo decisamente poco conformista, per lasciarvi turbare da una così minuscola infrazione delle regole formali, benché la mia identità di genere potrebbe costituire una significativa aggravante.
Il tono che aveva usato era gentile, ma deciso. La signorina mi rivolse uno sguardo interrogativo, ed io non potei fare a meno di sorridere. Poi mi voltai verso Holmes: ero curioso di osservare la reazione del mio amico.
Sherlock Holmes posò la provetta, facendo attenzione a non scuoterla. Passò lentamente il palmo della mano destra sulla parte superiore della fronte, poi sui capelli, fino a sfiorare la nuca. Inspirò profondamente ed espirò, restando immobile per qualche attimo; come se avesse potuto osservare il percorso del suo respiro nell'aria, lo accompagnò con lo sguardo, fino ad incontrare la finestra vicino all'archivio. Quindi girò su se stesso con un rapido balzo sullo sgabello, disegnando con la mano destra un secco gesto di disapprovazione.
Adesso lo sguardo acuto di Holmes era fisso sulla giovane donna: le sopracciglia leggermente sollevate lasciavano intuire una tenue curiosità. Dischiuse appena le labbra, poi si voltò di scatto allungando il braccio sinistro verso l'estremità del tavolo: sollevò un cumulo di fogli scarabocchiati e li gettò sul pavimento, poi continuò a tastare tra gli oggetti sparsi vicino agli strumenti chimici; afferrò una sigaretta e la portò alle labbra, mentre le dita della mano destra esploravano nervosamente le tasche del camice da lavoro, poi quelle della giacca, infine quelle del gilet. Accese la sigaretta e, gettando la testa all'indietro, aspirò una lunga boccata di fumo.
- Scalderò la forma cristallina rombica di questo zolfo ordinario fino alla temperatura di 95,5 gradi: il reticolo si trasformerà in monoclino e sarà pronto per portare a termine la reazione, completando la mia monografia - precisò Holmes con leggera stizza. - Comunque, sì, ve lo concedo: il conformismo non fa parte dei miei pur numerosi vizi - convenne, lanciandomi un'occhiata severa.
- Immagino che userete del solfuro di carbonio, benché anche alcuni altri solventi organici, o il benzene, sarebbero adatti alla soluzione... - domandò con tono retorico la giovane donna.
- Esattamente - rispose Holmes. - Avrei anche potuto ottenerlo in dispersione colloidale, per decomposizione con acidi dei tiosolfati alcalini, ma...
- ...Ma con un simile procedimento avreste rischiato una pericolosa interferenza, prima di arrivare alla reazione desiderata - concluse la donna, accennando appena un sorriso.
Questa volta Sherlock Holmes non riuscì a trattenere lo stupore: fissò intensamente la donna che gli stava di fronte, concentrandosi sul viso; poi spostò lo sguardo sulla borsa di cuoio che la nostra ospite ancora stringeva, incurante del suo evidente peso; infine diresse la propria attenzione sulla mano sinistra della donna e con un gesto rapido tese la propria, allo scopo di farsi consegnare l'oggetto che stava reggendo.
Posò il coperchio del barattolo di zolfo sul tavolo e, stringendo gli occhi, portò l'indice della mano destra al volto, fino a sfiorare le labbra; scosse leggermente la testa, poi, scoprendo appena i denti superiori, si protese verso l'ospite. Restò in silenzio per qualche istante. Quindi, con un tono che sembrava indirizzato piuttosto a se stesso, Holmes si rivolse alla giovane donna.
- Che la vostra professione non sia nel campo della chimica è evidente - disse.
A questa affermazione la donna sollevò entrambe le mani, tenendole con le palme leggermente inclinate, rivolte verso il basso, le osservò e sorrise, ammiccando leggermente. Holmes, che la stava scrutando con attenzione, annuì rapidamente, con una sottile aria di stupita soddisfazione.
- E tuttavia la bontà delle osservazioni che avete rivolto dimostra che le vostre letture sono profonde ed i vostri interessi piuttosto vasti - continuò il mio amico. - Il vostro lavoro ha certo a che fare con la ricerca, ma non in un campo specifico. Scrivete molto, a volte di notte. Provenite da un paese straniero, certamente di lingua latina. Avete un temperamento volitivo, una buona dose di fantasia, ed anche una discreta forza fisica, a giudicare dal peso della borsa che state reggendo - lo sguardo di Holmes era corso alla borsa in cuoio, per tornare velocemente al viso della donna, - e che io, dimostrando una scarsissima sensibilità, non vi ho invitata ad appoggiare.
Sherlock Holmes si alzò di scatto dallo sgabello, afferrò gentilmente la borsa della signorina e la sistemò su un tavolino in legno scuro appoggiato ad una delle pareti; quindi l'accompagnò verso il caminetto e la invitò a sedersi su una delle due poltrone.
- Venite Watson - mi disse Holmes, indicandomi il divano. - Non vorrete restarvene lì in piedi?
Presi il mio taccuino d'appunti e mi accomodai sul divano. Notai che lo sguardo del mio amico si era fatto più brillante e ne dedussi che anche lui, al pari di me, era incuriosito dalla nostra gentile ospite.
Holmes si avvicinò alla mensola del camino, scelse con cura una pipa, tra le numerose che vi erano riposte, estrasse una manciata di tabacco dalla pantofola persiana appesa ad una estremità della mensola, afferrò un fiammifero e si accomodò sulla poltrona di fronte alla donna. Accese la pipa, gettò il fiammifero tra la cenere del camino e tornò ad osservare la nostra ospite, attraverso una nuvola di fumo azzurrognolo.
- È inutile che confermi l'assoluta esattezza delle deduzioni che avete elaborato su di me, né mi dilungherò nell'esprimere la profonda ammirazione che nutro nei vostri confronti, poiché l'avrete già intuita da un'infinità di dettagli precisi - disse la donna in tono cordiale, ma senza sorridere. - Mi chiamo Margherita Sevi: sono italiana e non lavoro nel campo della chimica. Scrivo molto, è vero: infatti sono una giornalista.
Il mio stupore, nell'udire quest'affermazione, fu evidentemente così palese, che la signorina sorrise divertita.
- Capisco questa reazione - aggiunse.
- È evidente che la professione della signorina sia quella che ha appena dichiarato - disse Holmes, prima che lei potesse continuare. - Ovviamente, data la sua... identità di genere questo potrebbe risultare improbabile, ma certamente non impossibile. È dunque plausibile che la signorina Sevi scriva per un giornale italiano firmando i suoi articoli con uno pseudonimo maschile.
- Esatto - confermò la signorina, rivolgendosi ad Holmes con un sorriso. - E siete stato proprio voi, signor Holmes, a suggerirmi questo stratagemma, seppure indirettamente, attraverso gli ottimi resoconti redatti dal dottor Watson.
In risposta al mio sguardo interrogativo, Holmes si affrettò a precisare: - Sigerson: l'esploratore norvegese. Ricordate?
- Certamente - risposi, battendomi una mano sul ginocchio. - Nella cronaca dei fatti relativi alla vostra straordinaria ricomparsa, dopo la drammatica avventura alle cascate di Reichenbach.
- Confessate, Watson - domandò Holmes con un tono leggermente ironico, - che non avreste mai sospettato che i vostri resoconti potessero fornire suggerimenti tanto preziosi.
Sorrisi soddisfatto, stringendo con un po' di orgoglio il mio taccuino, ripensando a quelle occasioni in cui il mio amico aveva avuto da ridire sulle mie pur modestissime narrazioni. Holmes, intanto, si era rivolto alla nostra gentile ospite.
- Ed ora ditemi, signorina Sevi, in che modo posso esservi utile? - chiese, inclinando il capo per sollecitare la risposta.
- Sono qui per esporvi i particolari di un evento accadutomi nella giornata di ieri, e che io non esito a definire estremamente singolare, benché apparentemente privo di significato. Ma, conoscendo la vostra predilezione per tutto quanto è bizzarro, ho creduto opportuno rivolgermi a voi. Una volta a conoscenza dei fatti, giudicherete se le circostanze che vi avrò descritte siano tali da meritare la vostra considerazione.
- Ieri pomeriggio - continuò la signorina Sevi, - presumibilmente tra le tre e le cinque e mezzo, mentre mi trovavo al British Museum per una ricerca, qualcuno si è introdotto in casa mia.
- Se si tratta di un furto - suggerii, anticipando Holmes, che, temevo, avrebbe presto iniziato a mostrare segni di irritazione, - dovreste rivolgervi alla polizia. L'ispettore Connelly, in servizio a Scotland Yard da qualche mese, sarà lietissimo di aiutarvi.
- Ma non si tratta di un furto, dottor Watson - replicò la signorina leggermente risentita. - Non avrei disturbato il signor Holmes per una faccenda tanto banale - spiegò.
Holmes, il cui sguardo aveva preso a vagare sugli oggetti della stanza, riacquistò improvvisamente interesse. Strinse tra i denti la pipa ed accostò le mani davanti al viso, premendo leggermente i polpastrelli delle lunghe dita affusolate.
- Come stavo dicendo - riprese la nostra ospite, - ho fondati sospetti per ritenere che qualcuno abbia visitato il mio appartamento durante la mia assenza, rivolgendo la sua attenzione alla cucina, nonostante né le porte, né le finestre presentino segni evidenti di scasso.
Sherlock Holmes estrasse la pipa dalle labbra e, stringendo energicamente il fornello con la mano sinistra, fece un piccolo balzo in avanti.
- Su quali elementi fondate i vostri sospetti? - domandò, protendendosi verso la giovane donna che gli stava di fronte.
- Vedete, signor Holmes - rispose la signorina, - ieri mattina mi sono recata al Golden Lion, il più grande dei tre negozi che il signor Twinings, il celebre commerciante di tè, ha aperto a Londra. Acquisto sempre lì il mio tè, e poiché amo sperimentare aromi nuovi, ogni volta mi lascio consigliare dalla gentile negoziante, che ha sempre qualche fragranza insolita da propormi. Quella che mi ha suggerito ieri era una composizione di tè pregiati miscelati, mi è stato spiegato, con chiodi di garofano e bucce d'arancia, per ottenere un aroma dal gusto esotico. Decisi di provarla, e poiché si trattava di una miscela nuovissima, ed il garzone che avrebbe dovuto sistemare il tè nello scaffale apposito non era ancora arrivato, la signora dovette recarsi nel retrobottega per prelevarne una confezione per me. Penso che il tè non si trovasse nel posto in cui viene tenuto di solito, perché la signora impiegò parecchi minuti, prima di ritornare nel negozio. Mentre attendevo, cominciai a pensare che sarebbe stato interessante scrivere un articolo sulla bevanda cinese, e sul maggiore commerciante di Londra e forse dell'intero Regno Unito.
La giovane donna smise di parlare, e si sporse appena in avanti, guardando il mio amico, che era rimasto immobile sulla poltrona, con gli occhi socchiusi e la pipa tra le labbra. Holmes aprì gli occhi ed annuì, come per rassicurare la sua interlocutrice della propria attenzione. Con un ampio gesto della mano la invitò a proseguire.
- Quando la signora mi porse la confezione di tè, la rigirai tra le mani, osservandola per qualche attimo con estrema attenzione. Il Golden Lion, come forse voi saprete, da qualche tempo offre ai suoi clienti alcune miscele già preparate in un'elegante confezione con tanto di etichetta raffigurante il leone simbolo della casa, la denominazione del gusto del tè, e la marca TWININGS. Prendendo spunto dalla confezione, ottenni dalla signora alcune interessanti informazioni, utili per il mio articolo. Tra le altre cose, mi spiegò che le etichette vengono realizzate da un tipografo, amico del garzone del negozio di tè. Anzi - precisò la signora - quella delle etichette è stata proprio un'idea del garzone, un giovanotto sulla trentina, dai modi un po' spicci ma garbati.
La signorina Sevi si interruppe nuovamente, guardando Holmes con apprensione.
- Spero vorrete perdonare l'eccessiva verbosità del mio racconto - si affrettò a precisare la signorina, - ma, conoscendo i vostri metodi, descritti così bene dal vostro collega dottor Watson, preferirei non omettere alcun particolare, lasciando poi a voi la decisione circa l'eventuale rilevanza.
Holmes voltò appena lo sguardo verso di me, allo scopo di osservare l'evidente soddisfazione suscitata dalle generose parole della signorina Sevi a proposito dei miei racconti. Poi, con un leggero cenno di assenso, esortò gentilmente la nostra ospite ad andare avanti.
- Dopo aver ringraziato la negoziante per la sua disponibilità, mi diressi a casa, riposi la confezione di tè nella credenza, pranzai velocemente e, dopo aver ordinato alcune carte, uscii per recarmi al British Museum, dove trascorsi l'intero pomeriggio. Rientrai verso le sei, e, dovendo sbrigare ancora del lavoro, decisi di concedermi una pausa per sorseggiare una tazza di tè. Appoggiai la borsa sulla scrivania del salotto e andai in cucina, ansiosa di provare la nuova miscela: preso il pacchetto dalla credenza, dopo aver spostato il barattolo con lo zucchero e quello con il caffè, stavo per aprirlo, quando mi resi conto che non si trattava della stessa confezione che avevo acquistato la mattina.
- Una miscela differente? - domandai.
- No, dottor Watson - replicò la signorina. - La miscela era la stessa, denominata spiced, ma la confezione non era quella che avevo riposto nella borsa ieri mattina, dopo l'acquisto. Evidentemente qualcuno si era introdotto in casa e l'aveva sostituita durante il pomeriggio.
- Come potete esserne così certa? - chiese Holmes, con lo sguardo di chi si attendesse una rivelazione importante.
- Perché vedete, signor Holmes, anch'io, sebbene non in misura straordinaria quanto voi, sono una discreta osservatrice - rispose la signorina sorridendo.
Il mio amico deve avere sinceramente apprezzato quel complimento, poiché notai che le sue guance pallide e scarne si colorarono leggermente. Si era sporto sul bordo della poltrona, proteso verso la sua interlocutrice, in attesa del resto del racconto.
- Appena la signora del Golden Lion mi porse la confezione di tè, notai che l'etichetta aveva qualcosa di strano. All'inizio non riuscivo a capire di cosa si trattasse; poi, osservandola meglio, mi resi conto che entrambe le N di TWININGS erano state stampate al contrario, e si presentavano come in negativo. Così, vedete? - La signorina Sevi tracciò su un foglio di carta una И e lo porse ad Holmes. - Pensai ad una distrazione del tipografo, ma non lo feci notare alla signora. Non ci pensai più. Poi, quando ripresi in mano la confezione, ieri pomeriggio, il mio sguardo corse immediatamente all'etichetta e, con non poco stupore, constatai che le N della marca si leggevano correttamente.
Anticipando la richiesta di Holmes, la signorina Sevi si alzò dalla poltrona, si diresse al tavolino sul quale era posata la sua borsa, la aprì e ne estrasse un pacchetto dalla forma leggermente cilindrica, confezionato con carta ruvida di colore giallo scuro. Tornò a sedersi, porgendo il pacchetto al mio amico, che lo soppesò, calcolandone ad occhio le dimensioni. Poi lesse l'etichetta, premendo l'unghia del dito medio attorno al bordo dorato: la confezione era stretta all'estremità superiore da un nastrino dorato, che richiamava il contorno dell'etichetta ovale ed il leone raffigurato sopra; il suo peso sarà stato all'incirca di sette once.
- Tranne le N dell'etichetta, le due confezioni vi sono parse assolutamente identiche? - chiese Holmes. - Pensateci bene - insistette. - Le dimensioni, il peso... - suggerì.
- Lo escludo: eccetto quel particolare, erano perfettamente uguali - assicurò con decisione la signorina Sevi.
- Avevate trascorso la notte precedente a quella scorsa a scrivere? - domandò Holmes, restituendo il pacchetto di tè alla signorina.
- Una buona parte - rispose la signorina: - dovevo terminare un articolo: mi sono ritirata intorno alle quattro del mattino.
- È dunque lecito ipotizzare che la vostra vista, la mattina successiva, fosse notevolmente affaticata - osservò il mio amico. - Non è possibile supporre, allora, che quella N traslata sia stata frutto di una semplice svista, da parte vostra? - chiese con gentilezza.
- No, signor Holmes - replicò la signorina. - La vostra supposizione è certamente ragionevole, ma io sono abituata a trascorrere ore intere a correggere i miei articoli, prima di inviarli al giornale: la mia vista non cede con facilità. Sono assolutamente sicura di quanto vi ho detto.
- Bene - disse Holmes. - Se è così, ho bisogno di qualche altro particolare. Me lo esporrete per strada: se non avete nulla in contrario, vorrei dare un'occhiata al vostro appartamento.
Senza attendere l'assenso della signorina Sevi, Sherlock Holmes afferrò il cappello ed il bastone, porse alla nostra ospite la sua borsa di cuoio e la seguì fuori dalla stanza.
- Muovetevi, Watson! - mi urlò dalle scale.
Scendendo, notai che la signora Hudson era rientrata. Ebbi appena il tempo di accennarle un saluto, prima che Holmes mi afferrasse per un braccio, indicandomi la carrozza che stava aspettando.
Dopo aver ricevuto assicurazione dalla signorina Sevi che soltanto il minimo indispensabile era stato spostato, nel suo appartamento, dalla sera precedente, Sherlock Holmes le chiese di ricostruire minuziosamente il percorso che aveva seguito per tornare dal negozio di tè a casa, sforzandosi di rammentare se qualcosa di insolito avesse attirato la sua attenzione.
- Dubito che possiate essere stata seguita - affermò, portando l'indice a sfiorare le labbra: - il misterioso visitatore è probabilmente arrivato dopo, ha atteso che voi usciste ed è penetrato in casa - concluse.
- Siete certa che non ci siano tracce di forzatura, alle porte o alle finestre? - domandò.
- Non visibili ad occhio nudo. E certamente non da un'osservatrice inesperta come me, su questo argomento - sorrise la signorina, mentre la nostra carrozza si lasciava alle spalle Grosvenor Square.
- Deve trattarsi di un vero professionista - suggerì il mio amico. - E così abile, che non ha ritenuto opportuno rovesciare qualche cassetto o sottrarre qualcosa, per simulare una vera rapina.
- O non ne ha avuto il tempo - ipotizzai. - Forse è stato disturbato.
- Impossibile! - replicò Holmes seccamente. - Dalla descrizione della signorina, sappiamo che per accedere in cucina si deve attraversare il salotto. Ora: se il visitatore fosse stato interrotto mentre si trovava lì, non avrebbe avuto la possibilità di sostituire il pacchetto; se l'eventuale allarme si fosse verificato dopo, non si sarebbe curato di risistemare il barattolo con lo zucchero e quello con il caffè.
In risposta al mio sguardo perplesso, Holmes completò la spiegazione ricordando che la signorina Sevi aveva specificato come, prima di poter prendere la confezione di tè, avesse dovuto spostare quei due barattoli.
- Se i barattoli si fossero trovati in una posizione inconsueta, sono certo che un'attenta osservatrice quale la signorina si è dimostrata, non avrebbe mancato di notarlo - concluse, e si voltò in direzione di un gruppetto di monelli che correvano, ridendo, davanti ad un'anziano signore che li inseguiva brandendo in aria il bastone.
Per circa dieci minuti restammo tutti e tre in silenzio. Quando la carrozza giunse a Knightsbridge, per fermarsi davanti alla casa della signorina Sevi, in Basil Street, quasi all'angolo con Pavilion Road, l'orologio di una chiesa vicina annunciava le dodici e trenta. Mentre invitavo la signorina a scendere dalla carrozza, Sherlock Holmes, dopo aver analizzato il cancello che si apriva sul giardino, il prato ed il sentiero ghiaioso, si era diretto lungo uno dei muri laterali per controllare le finestre. Scrutò gli infissi e le vetrate con la sua lente d'ingrandimento, provò a sollevarli e ci raggiunse all'ingresso. S'inginocchiò per esaminare la serratura della porta e ci invitò ad osservare la toppa, tenendovi la lente davanti.
- La serratura è stata forzata. Vedete quei graffietti? - chiese con tono soddisfatto: - è stato usato un grimaldello particolare, dalla punta sottilissima: i segni che ha prodotto sono quasi invisibili.
Entrammo in casa. Holmes chiese alla signorina Sevi di indicargli la direzione per raggiungere la cucina e vi si diresse con estrema cautela, chinandosi in alcuni punti, per osservare il tappeto ed il pavimento. Giunto in cucina, mentre la signorina ed io lo seguivamo a distanza, restò per qualche attimo a fissare la credenza in legno scuro, poi si piegò sulle ginocchia e cominciò ad osservare il bordo del ripiano: vi passò lentamente le dita e ci fece cenno di avvicinarci.
- Si è fermato in questo punto, appoggiandosi contro il mobile - indicò. - Il grimaldello, che deve aver riposto nella tasca sinistra, ha forato la stoffa incidendo leggermente il legno.
Dopo aver raccolto qualcosa dalla maniglia del primo cassetto, si rialzò ed aprì la credenza; spostò i due barattoli osservando lo spazio vuoto che doveva essere stato occupato dal pacchetto di tè.
- Posso tenerla? - chiese, indicando la confezione che la signorina aveva appoggiato sul mobile - Sarà mia cura procurarvene un'altra - aggiunse.
- Non preoccupatevi, signor Holmes: se davvero ritenete che questa piccola stranezza abbia un significato, sarà sufficiente che lo sveliate, ed io mi sentirò soddisfatta - rispose la signorina Sevi.
- Farò il possibile - promise Holmes, dirigendosi verso l'ingresso.
- Se aveste bisogno di ulteriori informazioni non esitate a farmelo sapere - suggerì la signorina, aprendoci la porta.
- Non dubitate - assicurò Holmes, congedandosi. - Arrivederci.
- Ma andiamo, Holmes - protestai, - non mi direte che avete davvero intenzione di interessarvi di questa... faccenda? Una confezione di tè sostituita con un'altra identica: non può che trattarsi di uno scherzo! - esclamai.
- Uno scherzo - ripetè Holmes asciutto. - Voi dite, Watson? - borbottò, senza aspettare risposta, rigirando il pacchetto di tè tra le mani.
Per tutto il tragitto stette in silenzio, con lo sguardo apparentemente assente, che assumeva ogni qualvolta si trovava di fronte ad una situazione particolarmente insolita. Osservandolo, mi domandai se stesse formulando delle ipotesi, sforzandomi di fare altrettanto, ma senza il minimo successo. In verità continuavo a pensare che ci fosse ben poco su cui ragionare.
Tornammo in Baker Street in tempo per la colazione: la signora Hudson ci servì dell'ottimo roast-beef con verdure di stagione, che il mio amico, tuttavia, assaggiò appena.
- A proposito, Holmes - dissi, mentre la nostra padrona di casa stava portando il caffè, - volete essere così gentile da soddisfare la mia curiosità a proposito...
- A proposito delle mie deduzioni sulla signorina Sevi - proseguì lui, come se mi avesse letto nella mente.
- Esatto - convenni, con un senso di sbalordimento che, per la mia lunga frequentazione con Holmes, avevo imparato a tenere a bada. - Perbacco! - non mi trattenni, tuttavia, dall'esclamare.
- Non stupitevi, mio buon amico - sorrise Holmes: - ho notato che avete osservato la signorina per tutto il tempo che è rimasta in nostra compagnia. Senza dubbio stavate cercando quegli indizi che, ne eravate certo, mi hanno fornito la prova per le mie asserzioni. E credo anche che ne abbiate rinvenuto qualcuno.
- In effetti - accennai io, un po' timidamente, - ritengo che l'assenza di segni lasciati da sostanze chimiche, sulle mani della signorina, vi abbia detto che la sua professione non si svolge in quella direzione - spiegai, cercando di essere il più convincente possibile.
- Eccellente Watson! - esclamò il mio amico, invitandomi con la mano a proseguire.
- E quel piccolo arrossamento, quasi all'estremità del dito medio della mano destra - continuai, questa volta con decisione, - quello che viene comunemente chiamato 'callo dello scrittorÈ, ci dice che la signorina usa molto la penna.
- Magnifico, magnifico! - Holmes battè le mani. - E il fatto che quel piccolo callo, come l'avete chiamato, fosse ancora arrossato... - iniziò il mio amico, lasciando a me la conclusione.
- Significa che non potevano essere trascorse molte ore dall'ultima volta che aveva scritto - dissi io: - e dunque ecco la prova che a volte scrive durante la notte.
- Watson - disse Holmes, con tutta la serietà di cui era capace, - voi avete sempre la capacità di sbalordirmi!
Non sapevo se sentirmi lusingato, per quello che poteva essere un complimento, ma che, per la mia profonda conoscenza di Holmes, poteva anche rivelare un significato più sottile. Comunque non me ne curai troppo: c'erano ancora dei particolari che non riuscivo a spiegarmi, e su questi ero curioso di interrogare il mio amico.
- Grazie, Holmes - risposi quasi meccanicamente, - ma, e vi prego di non giudicarmi un asino per questo, come avete dedotto la nazionalità della signorina? - domandai: - il suo inglese mi è sembrato praticamente perfetto.
- Esatto, Watson - rispose Holmes, socchiudendo gli occhi: - perfetto - ripetè. - Perfetto come quando si usa uno strumento che ci è stato prestato e che si ha paura di rovinare.
- Ora che mi ci fate pensare, Holmes - dissi, battendomi una mano sul ginocchio, - la signorina Sevi non ha mai usato espressioni realmente colloquiali, e quasi neanche contrazioni.
Il mio amico accennò un leggero inchino con la testa. - Senza contare la 'z' di 'benzene' - aggiunse poi, lasciandomi attonito per qualche istante. - Quella 'z' è stata pronunciata con un suono duro e spigoloso - spiegò, - che per gli anglosassoni è quasi impossibile da riprodurre.
- Ma non per chi provenga da un paese latino. L'Italia, in particolare - conclusi io, poiché, come sempre, ora che il mio amico mi aveva fornito tutta la spiegazione, non riuscivo a capacitarmi di non esserci arrivato da solo.
- In quanto al resto - riprese Holmes, prevenendo i miei successivi quesiti, - dal modo in cui la signorina si è presentata da noi, dalla sicurezza con cui ha esposto il suo punto di vista sulla mia monografia, e - a questo punto il mio amico accennò un sorriso, lasciando svolazzare a mezz'aria le dita della mano destra - dall'abbigliamento, elegante ma non pedestremente alla moda, è stato semplice dedurre un temperamento volitivo ed una certa fantasia.
- Straordinario! - non potei evitare di esclamare. E avrei probabilmente continuato a complimentarmi, se il mio amico, subito dopo aver terminato con le spiegazioni sulla signorina Sevi, non si fosse allontanato dal tavolo da pranzo con la chiara, almeno per me, intenzione di non prestare più attenzione a nulla, se non al corso dei suoi pensieri sul nuovo 'caso' che aveva fra le mani.
Infatti si sistemò sulla poltrona, con le gambe incrociate, assorto nella contemplazione del pacchetto di tè, miscela spiced, che aveva sistemato su un bracciolo. Restò in quella posizione per oltre mezz'ora, con gli occhi socchiusi e la pipa tra le labbra.
- Andiamo, Watson! - esclamò all'improvviso balzando in piedi.
- Dove, se è lecito? - domandai.
- A far compere - rispose, mentre riempiva il portasigarette. - Avete mai provato il tè verde non fermentato? È uno dei tè storici della Cina, la cui caratteristica foglia ricurva ricorda la polvere da sparo: l'ideale per un ex-militare come voi. Non sono certo che in città si trovi facilmente, ma è probabile che in un negozio molto specializzato...
- Come il Golden Lion? - suggerii un po' stupito, poiché non avevo mai sospettato che il mio amico possedesse conoscenze tanto approfondite, su un simile argomento.
- Appresi parecchie nozioni sui diversi tipi di tè - spiegò Holmes, come se avesse letto nella mia mente - in un caso che risale agli anni precedenti alla nostra collaborazione. Osservando la particolare forma delle foglie, fui in grado di dimostrare che la responsabile di una serie di delitti avvenuti all'interno di una nobile famiglia del nord, era la governante della famiglia stessa, e non il giovane nipote, come la polizia aveva erroneamente concluso. Ah, Watson - disse, alzando gli occhi al cielo, - un giorno o l'altro scriverò qualcosa sugli errori giudiziari commessi da Scotland Yard.
Giunti al negozio, Holmes si mise ad osservare le confezioni esposte negli scaffali, leggendo con attenzione le etichette che descrivevano le differenti miscele. Dietro il banco, la negoziante stava consigliando ad un distinto signore una miscela di prima fioritura al gusto di noci e miele, la migliore - dichiarò - dei tè da pomeriggio. Il garzone era intento a sistemare alcuni prodotti su una mensola; era un giovane sui trent'anni, di statura media, un po' stempiato, magro ma muscoloso.
- Signori - chiese la negoziante in tono cordiale - in cosa posso servirvi?
- Vedo che il Golden Lion è all'altezza della sua fama - disse Holmes indicando gli scaffali . - Penso che qui troverò quello che cerco. Si tratta di una miscela un po' particolare: un tè verde dalla foglia ricurva, chiamato, se ricordo bene, gunpowder.
- Voi siete un vero intenditore - disse la donna sorridendo. - Il gunpowder è una miscela storica. Non è molto richiesta, a dire il vero - spiegò, prelevando da uno dei contenitori in legno, disposti in fila alle sue spalle, qualche oncia della miscela richiesta dal mio amico: pesò il mucchietto di minuscole foglie verdi e lo versò su un foglio di carta marrone. Sollevò due lati opposti del foglio, tenendo serrate le estremità esterne e, con rapidi scatti delle mani, arrotolò insieme i bordi della carta, dando loro la forma di un arco. Conclusa l'operazione, appoggiò l'involucro sul banco, di fronte ad Holmes.
- Magnifica confezione! - esclamò Holmes afferrando un pacchetto da uno scaffale. - Davvero particolare - commentò, passando le dita sull'etichetta, simile a quella che aveva spinto la signorina Sevi ad interpellare Holmes, ma con le N di TWININGS scritte correttamente.
- Voi non siete il primo ad apprezzarla - rilevò la signora con orgoglio. - L'etichetta, in particolare - aggiunse. - Pensate che un po' di tempo fa lady Agatha Stanhope, una nobildonna che da anni ci onora della sua fiducia, ha voluto sapere il nome e l'indirizzo del tipografo che le realizza, per commissionargli i biglietti d'invito per un ricevimento che voleva dare.
- Un'idea brillante - ammise Holmes. - Queste etichette dimostrano un'abilità notevole - disse sollevando il pacchetto in modo che l'etichetta venisse illuminata dalla luce esterna. - Vi sarei grato se voleste indicare anche a me l'indirizzo di questo valente artigiano. Presto cambierò casa e avrò bisogno di nuovi biglietti da visita: sarei dunque lieto di avvalermi della sua opera.
- Si chiama Russel Lynn; troverete la sua bottega al 23 di Wellington Street, nello Strand - indicò la signora. - Che ne dici, Charlie? Diventerà famoso, il tuo amico Russel - rise, rivolgendosi al garzone. - È stato lui - spiegò - a segnalarmelo.
- Bene - disse Holmes. - Credo che diventerò un vostro cliente, anche se il mio lavoro non mi concede spesso il tempo per uscire a fare acquisti.
- Di questo non dovete preoccuparvi - lo rassicurò la gentile negoziante: - il Golden Lion cerca di soddisfare tutte le esigenze del cliente: tranne il mercoledì mattina, saremo lieti di consegnarvi a domicilio i prodotti di cui avrete bisogno.
- Lo terrò a mente - annuì Holmes. - Perdonate la mia curiosità - aggiunse. - Perché tranne il mercoledì mattina?
- Perché quel giorno Charlie, che si occupa delle consegne, arriva in negozio un po' più tardi: la sera del martedì, quando puntualmente il tipografo ci invia le nuove etichette, Charlie è impegnato fin dopo l'ora della chiusura ad applicarle alle confezioni; così, la mattina successiva, gli permetto di arrivare al lavoro con qualche ora di ritardo.
Ringraziando, Holmes prese il pacchetto di tè ed estrasse dalla tasca un biglietto da cinque sterline; ma, dopo aver posato il biglietto sul banco, si voltò verso lo scaffale opposto, pregando la negoziante di illustrargli le caratteristiche di alcune miscele lì esposte. Mentre la donna si avvicinava allo scaffale, Holmes, con un gesto tanto ampio che la coda del suo cappotto svolazzò a mezz'aria, mi invitò a seguirlo. Indicò alla signora alcune confezioni, ascoltando con attenzione la descrizione delle caratteristiche delle foglie, del gusto, delle modalità migliori di degustazione.
Quando ci riavvicinammo al banco Holmes notò che la banconota era sparita. Con una reazione che, a dire il vero, mi parve un poco esagerata, il mio amico, denunciata la sparizione alla negoziante, accusò il garzone come unico possibile responsabile, costringendolo a vuotarsi le tasche dove era certo avesse nascosto le cinque sterline. Ogni protesta del ragazzo fu inutile: furente, sotto gli occhi esterrefatti della sua padrona, cominciò ad estrarre gli oggetti che aveva nelle tasche, rivoltando, alla fine, anche queste. Della banconota non v'era traccia. Sherlock Holmes restò per qualche attimo ad osservare le fodere delle tasche del garzone, che penzolavano fuori dai pantaloni; fece un piccolo passo indietro e, abbassando lo sguardo, si accorse che il denaro si trovava sul pavimento. Fissando prima la signora, quindi il ragazzo, con espressione allibita iniziò a profondersi in scuse umilissime. Dichiarandosi costernato per l'accaduto, pagò il tè e volle offrire al garzone il resto delle cinque sterline come indennizzo per le ingiuste accuse che gli aveva rivolto. Scusandosi ancora, augurò ad entrambi la buona giornata ed uscì.
Senza dire una parola, arrivammo all'angolo della strada. Holmes fermò una carrozza; dall'indirizzo che diede al vetturino, capii che eravamo diretti alla bottega del tipografo Russel Lynn. Holmes, seduto al mio fianco, se ne stava immobile, con le palpebre abbassate, il pacchetto di tè stretto tra le lunghe dita affusolate: ne dedussi che fosse ancora scosso per lo spiacevole episodio, che lo aveva visto accusare ingiustamente un innocente. Restai in silenzio ad osservarlo; era la prima volta, in tutti gli anni della nostra conoscenza, che Holmes commetteva un simile errore.
- So cosa state pensando, Watson - disse all'improvviso, sollevando appena le palpebre. - Soltanto poco fa criticavo con sdegno gli errori giudiziari commessi dalla nostra polizia...
- Non prendetevela - lo esortai. - In fondo tutto si è concluso nel migliore dei modi.
Holmes annuì, fissandomi con sguardo austero, e subito dopo scoppiò in una fragorosa risata.
- Mio caro amico - mi disse, - voi vi ostinate a trarre conclusioni, senza aver applicato a ciò che osservate, il ragionamento logico. Non era mia intenzione offendervi - aggiunse, in risposta alla mia espressione un po' seccata. - E d'altronde non è possibile biasimarvi: l'analisi e la deduzione, così come la logica, sono scienze rare.
- D'accordo, Holmes - dissi con una certa freddezza. - Ma volete spiegarmi cosa diavolo c'entrano la logica e la deduzione con quanto è accaduto poco fa al negozio di tè?
- È accaduto - rispose Holmes, tornando serio - che ho ottenuto la prova che il misterioso visitatore della signorina Sevi ed il garzone del Golden Lion sono la stessa persona.Vedete, Watson, quello che avete frettolosamente considerato un incauto errore di valutazione da parte mia, altro non era che uno stratagemma per verificare lo stato della fodera della tasca sinistra del ragazzo; volutamente, ho sistemato il denaro sul banco in maniera che lo spostamento d'aria provocato dalla coda del mio cappotto fosse sufficiente a farlo cadere: quando mi sono riavvicinato, ho tenuto celata la banconota sotto la mia scarpa, ed ho iniziato la mia piccola scenetta, costringendo il garzone a rivoltare le tasche. Come avrete notato, l'estremità della fodera sinistra era leggermente forata, e da quel piccolo buco pendevano alcuni fili di stoffa. La stessa stoffa di cui ho rinvenuto un frammento sulla maniglia del primo cassetto della credenza, a casa della signorina Sevi.
Holmes estrasse dal taschino il frammento di stoffa e me lo porse.
- I pantaloni indossati dal garzone - continuò - erano nuovi, o comunque ben tenuti: è dunque lecito pensare che quel foro fosse recente, tanto che il ragazzo non aveva avuto il tempo di farlo rammendare.
- Ma - obiettai - come avevate indovinato che si trattava proprio del garzone?
- Watson - replicò Holmes, aggrottando le sopracciglia, - voi mi deludete: ormai dovreste sapere che io non indovino. Dopo aver dedotto, dal racconto della signorina Sevi, che non poteva essere stata seguita mentre tornava a casa, e sapendo che è una cliente fissa del Golden Lion, non è stato difficile trarre le conclusioni esatte: chi aveva scambiato i pacchetti doveva conoscere il suo indirizzo oltre, ovviamente, a sapere che era stata proprio lei ad acquistare quella particolare confezione. Le uniche due persone in possesso di queste informazioni erano la negoziante ed il garzone. Ora, se si fosse trattato della signora, sarebbe stata certamente più cauta, nel fornire informazioni; esclusa lei, non restava che il garzone. E i fatti hanno dimostrato l'esattezza delle mie deduzioni.
- Ma come potevate essere così certo che la signorina non fosse stata seguita? - domandai, più per puntiglio, probabilmente, che per reale scetticismo verso le affermazioni del mio amico.
- Diciamo che ho ritenuto che quella fosse la possibilità più realistica - rispose Holmes: - la signorina Sevi si è dimostrata una persona piuttosto attenta, e dunque non è difficile supporre che, se qualcuno l'avesse seguita, non avrebbe mancato di notarlo...
- Forse - dissi io, - ma sapete benissimo che Londra è piena di veri maestri del pedinamento. Non avrete basato la vostra certezza solo su questo?
- No, naturalmente - Holmes acconsentì, accompagnandosi con un gesto della mano. - E sebbene sia convinto che la signorina si sarebbe accorta di qualcuno che l'avesse seguita lungo un percorso così... lineare...
- È vero, Holmes - lo interruppi. - La strada che la signorina ha seguito per fare ritorno a casa, dal Golden Lion, è praticamente priva di svolte brusche, o di costruzioni, o altro, per mezzo dei quali nascondersi repentinamente.
- Esatto - convenne il mio amico. - Inoltre, dal racconto della signorina, sappiamo che, al momento dell'acquisto, oltre a lei, nel negozio, non c'erano altri acquirenti.
- Ma ci sarebbe potuto essere qualcuno fuori dalla bottega - azzardai, - ad osservare ciò che accadeva all'interno attraverso la vetrina.
- Distinguendo i particolari minuti di un'etichetta così piccola attraverso quella spessa vetrata? Senza contare che la posizione del bancone, rispetto alla vetrina, non permette che una visione estremamente parziale. Ciò che proponete, Watson, è impossibile! - esclamò Holmes con totale risolutezza. - E poi, perché mai la vostra fantomatica spia si sarebbe dovuta appostare fuori dal Golden Lion, proprio in quel momento? Soltanto un mago, ammesso che crediate in questo genere di cose, avrebbe potuto prevedere la fatalità che ha fatto finire il pacchetto incriminato nelle mani della persona sbagliata.
- Mi avete convinto, Holmes - dissi, - ma, dalle parole della signorina, sappiamo anche che nemmeno il garzone era presente, quella mattina.
- E infatti - assentì il mio amico, che sembrava più divertito che contrariato, da quella serie di obiezioni che insistevo a proporgli, e che, lo sapevo, avrebbe demolito una ad una con precisione millimetrica, - prima di parlare con la signora del negozio, sia lei che il garzone erano tra i miei possibili sospetti; ma, in entrambi i casi, questo mi faceva scartare l'ipotesi del pedinamento, poiché, come ho già avuto modo di farvi notare, entrambi conoscevano l'indirizzo della signorina Sevi - Holmes mi guardò con un'aria leggermente ansiosa, come aspettandosi di sentirmi sollevare altri dubbi sulla sua ricostruzione della vicenda.
- È di una semplicità elementare - dissi soltanto.
Holmes non disse nulla: si limitò a sollevare le sopracciglia, fissandomi con ironia.
Non appena la carrozza superò Covent Garden, Holmes fece cenno al vetturino di fermarsi.
- Facciamo due passi. Che ne dite, Watson?
Assecondai volentieri la richiesta del mio amico: il cielo, quel pomeriggio di settembre, era incredibilmente terso e la temperatura, nonostante fossimo ormai in autunno, era mite.
Giunti al numero 23 di Wellington Street entrammo nella bottega del signor Lynn: il tipografo posò sul banco il volume che era intento ad osservare, passando delicatamente le dita sulle incisioni che decoravano il dorso. Russel Lynn era un uomo di circa quarant'anni, alto, dall'aspetto vigoroso; il suo viso, leggermente ovale, era adornato da un paio di baffi biondo scuro, così folti da nascondere quasi completamente il labbro superiore.
Mentre Holmes ed il signor Lynn disquisivano sulle caratteristiche dei tipi da stampa più indicati per un biglietto da visita, mi misi ad osservare le pareti del negozio, sulle quali erano disposti, incorniciati, numerosi esempi di stampe di vario genere, dalle prime pagine di quotidiano alle decorazioni per abbellire i classici della letteratura. La riproduzione de "Il Lettore", dell'artista francese Odilon Redon, attrasse la mia attenzione: ritraeva un uomo anziano, dalla lunga barba bianca, seduto in poltrona intento nella lettura di uno spesso volume, all'interno di una stanza in penombra, illuminata soltanto grazie ad una piccola finestra situata in alto, sull'unica parete visibile. La voce di Sherlock Holmes mi riportò alla realtà.
- Venite, Watson - mi disse, invitandomi a seguirlo.
Scendemmo lungo una scala in legno posta alla destra del banco ed entrammo nella tipografia vera e propria: un'ampia stanza con le pareti bianche suddivisa da due tratti di muro collocati leggermente a V, in modo da formare, nella parte centrale, una zona isolata. Sulla parete in fondo, opposta alla scala dalla quale eravamo scesi, si trovava una piccola porta in legno massiccio: date le dimensioni pensai che si dovesse trattare del ripostiglio. Nelle tre aree erano disposte le attrezzature per la stampa, i contenitori dei caratteri in piombo, le risme di carta, una pressa, ed una fornace. Senza disturbare gli artigiani al lavoro, il signor Lynn ci condusse nella parte centrale della stanza, dove egli stesso - spiegò - lavorava, illustrandoci il funzionamento del torchio litografico, una tecnica inventata verso la fine del diciottesimo secolo dal tedesco Alois Senefelder, ed introdotta in Inghilterra dai suoi amici Philipp e Johann Andre. Il procedimento della stampa litografica sfrutta le singolari proprietà di pietre calcaree, capaci, se inumidite, di respingere l'inchiostro grasso.
- Ne ho sentito parlare - intervenne il mio amico. - Questa tecnica deriva il suo nome dal termine litho, che in greco significa appunto "pietra".
- Esatto - rispose il tipografo. - Consentendo l'utilizzo di una matrice piana, la litografia ha avuto un'immediata influenza sul libro e sui giornali; e, a partire dal 1860, ha permesso la realizzazione dei manifesti. Inoltre - aggiunse - è molto apprezzata dagli artisti.
- Un'innovazione rivoluzionaria - commentò Holmes. - Tutto ciò che è nuovo ha il potere di attrarmi - sorrise, voltandosi verso un tavolo su cui giacevano pile di cartoncini colorati, barattoli e altri attrezzi. - Il mio amico, invece - disse indicandomi, - prova una certa diffidenza per le novità: lui preferisce i metodi più tradizionali. Mentre venivamo qui, infatti, mi stava raccontando quanto fosse interessato a conoscere i particolari della stampa tipografica. Ricordate? - mi chiese.
- Come? Io... - mormorai senza capire.
- Sono sicuro che il nostro gentilissimo tipografo sarà lieto di illustrarvene il funzionamento - insistette, indicando i macchinari situati nell'altra parte della stanza.
Il signor Lynn acconsentì di buon grado, e per circa venti minuti mi spiegò, con dovizia di particolari, e senza omettere i riferimenti storici, il moto alternativo del torchio piano-cilindrico, mostrandomi la matrice a rilievo, ottenuta direttamente - specificò - da caratteri tipografici e da clichés.
Holmes restò ad osservare il torchio litografico, e ci raggiunse solo quando il signor Lynn, al termine della sua esposizione, mi stava illustrando come i caratteri vengono modellati dal piombo fuso nelle matrici di sabbia, per poi essere intagliati con un apposito bulino.
- Davvero affascinante - esclamò. - È un vero peccato non potersi trattenere più a lungo - si rammaricò, risalendo la scala. - Appena avrò terminato il trasloco - disse rivolgendosi al signor Lynn - vi commissionerò i biglietti da visita. Buona giornata.
- Non vi sapevo tanto appassionato delle tecniche da stampa - dissi al mio compagno, allorché ci allontanavamo dalla bottega. Lui si limitò a sollevare leggermente le sopracciglia, senza rispondere; aveva appoggiato l'indice della mano destra sulle labbra, che teneva significativamente serrate. Mentre mi domandavo cosa stesse rimuginando nel cervello, Holmes si sporse verso la strada e fermò una carrozza.
- Devo tornare immediatamente dalla signorina Sevi. Ma prima - disse - vorrei pregarvi di svolgere una piccola ricerca per me: dovreste procurarvi del materiale sulla casa reale asburgica e su quella russa.
- Ma, Holmes... - tentai di replicare.
- Tutto quello che trovate, e poi tornate a Baker Street. A più tardi, Watson.
Prima che potessi chiedere qualche spiegazione, la carrozza, con Holmes dentro, si stava allontanando lungo lo Strand, in direzione di Trafalgar.
Cercai di svolgere il compito assegnatomi da Holmes nel miglior modo possibile: in biblioteca trovai parecchi volumi sui sovrani austriaci e sugli zar russi. Un paio erano addirittura corredati da illustrazioni raffiguranti i principali membri delle nobili dinastie, con magnifiche riproduzioni araldiche; tuttavia, conoscendo i gusti del mio amico, decisi di riporli nello scaffale, portando con me soltanto i libri che ritenevo avrebbero interessato maggiormente Sherlock Holmes. Stavo per uscire dalla biblioteca quando, all'improvviso, riecheggiarono nella mia mente le parole precise con cui il mio compagno aveva formulato la sua richiesta: "Tutto quello che trovate", aveva specificato. Così tornai sui miei passi e, per quanto convinto che si trattasse di una fatica inutile, presi i due volumi che avevo scartato poco prima.
Tornai a Baker Street poco prima delle cinque: Holmes non era ancora rientrato. Mi feci portare del tè dalla signora Hudson e, sorseggiandolo, mi misi a sfogliare l'edizione della sera del Times: la pagina politica riproduceva quasi integralmente il dibattito parlamentare che aveva animato, il giorno precedente, la Camera dei Comuni; la cronaca cittadina, evidentemente a corto di notizie di rilievo, dedicava ben tre colonne alla scomparsa del maggiordomo del segretario per gli Affari Esteri, il signor Jeremy Blyton: il fatto risaliva agli inizi di Luglio, e tutte le ricerche, da parte della polizia, si erano rivelate inutili. Ricordo che Holmes era stato sul punto di interessarsi personalmente al caso, prima che il giovane Hopkins spostasse la sua attenzione sull'oscura morte del capitano Carey.
Lasciai il giornale aperto sul divano e, dopo aver prelevato un sigaro dal portacarbone, decisi di dedicare la mia attenzione al pacchetto di tè, miscela spiced, che tanto aveva incuriosito il mio amico: tuttavia, per quanto lo osservassi, continuavo a non trovarvi nulla di strano.
- Avete scoperto qualcosa, Watson? - mi domandò Holmes, apparendo all'improvviso nella stanza, indicando il pacchetto che tenevo in mano.
- Finalmente, Holmes! - esclamai. - Ma dove siete stato in tutto questo tempo? Avete visto la signorina Sevi? - chiesi.
- Sono stato dalla signorina subito dopo aver lasciato voi - mi rispose.
- Una donna davvero graziosa, non trovate Holmes?
- Uhm! - fece lui, sollevando lievemente le spalle. - Non l'avevo notato. Ma l'esperto, in questo campo, siete voi, mio caro amico. Tuttavia devo ammettere che la signorina Sevi è una donna dalle qualità notevoli e, per quanto mi è stato possibile osservare, sembra inspiegabilmente scevra da quei modi bizzarri e da quelle caratteristiche spesso incomprensibili, tipici del bel sesso.
- Come fate ad esserne così certo? - domandai, francamente un po' stupito dal tono usato da Holmes.
- Non ne sono affatto certo, naturalmente - ammise. - Caro Watson, stiamo pur sempre parlando di quell'inscrutabile mistero che è il genere femminile: ogni certezza, su tale argomento, potrebbe rivelarsi meno solida di una zattera intessuta di fragili frasche, che navighi in un mare in tempesta. Per quanto la signorina Sevi...
Holmes non terminò la frase, né io lo esortai a farlo: conoscevo troppo bene il mio compagno, per ritenere che il suo interesse per la signorina Sevi fosse determinato da qualcosa di diverso dal puro gusto per l'osservazione scientifica. E quel luccichio che stavo leggendo nel suo sguardo era lo stesso che avrebbe manifestato un antropologo che si fosse trovato a conversare con un primate della specie umana; sebbene debba confessare che, almeno per un attimo, osservando il mio amico, provai la sensazione che dietro quella sua fredda ed imperturbabile mentalità analitica, potessero albergare sentimenti romantici.
- Comunque sia - proseguì, - dimostrando grande prontezza ed intelligenza, la signorina ha acconsentito immediatamente ad eseguire un compito che spero si rivelerà decisivo per questo caso - disse compiaciuto. - Subito dopo ho svolto una piccola indagine su Russel Lynn: chiacchierando con i negozianti di Wellington Street, sono venuto a sapere che Lynn ha rilevato la tipografia circa quattro mesi fa, e, nelle tre settimane successive, l'ha tenuta chiusa per apportarvi modifiche. È probabile che abbia addirittura buttato giù dei muri e ne abbia poi costruiti di nuovi, poiché i vicini hanno parlato di "frastuono insopportabile" proveniente dalla bottega di Lynn durante quei venti giorni.
- Mi è stato inoltre riferito che Lynn abita in un appartamento situato proprio sopra la bottega; pare che spesso si fermi a lavorare in tipografia a lungo oltre l'orario di chiusura. È un tipo dai modi educati, ma, stando ai commenti dei vicini, molto riservato: vive solo e sembra non conceda confidenza a nessuno. Anzi, che rifugga decisamente ogni genere di compagnia.
- Un vero eremita.
- Così parrebbe - proseguì Holmes. - Pensate, Watson, che la custode del palazzo di fronte, una signora che ho trovato particolarmente in vena di confidenze, mi ha raccontato di aver visto il nostro amico tipografo rifiutare energicamente, sebbene sempre con un certo garbo, gli inviti di un signore molto raffinato che, stando alle parole della donna, ha cercato in più di un'occasione di convincere Lynn a distrarsi dal suo lavoro.
- Un amico, dunque? - domandai.
- È quello che pensa anche la loquace signora che, lungi dal volersi interessare degli affari altrui, come ha tenuto a sottolinearmi, non ha potuto fare a meno di ascoltare alcuni frasi dalle conversazioni dei due, che, a quanto pare, si svolgevano sulla soglia della bottega di Lynn. In una di quelle occasioni, la donna ricorda perfettamente di aver sentito Lynn declinare un invito a cena da parte dell'altro uomo, non, tuttavia, senza averlo prima rassicurato che si sarebbe fatto vivo personalmente, non appena avesse potuto. Subito dopo il tizio si è allontanato, e la nostra riservata custode giura di aver visto Lynn rientrare nella bottega sbattendosi la porta alle spalle.
- Un tipo decisamente singolare - dissi io. - Per non parlare, poi, dei baffi che porta: raramente ne avevo visti di così folti - commentai.
- Già. Vedo che cominciate a capire.
- A capire?
- Sì, Watson - disse Holmes, guardandomi con aria sorniona: - quei baffi hanno uno scopo preciso: celare la vera identità.
- Ma Holmes! - esclamai. - Dunque voi ritenete che Russel Lynn sia in realtà un'altra persona?
- Ne ho la prova - ribattè, porgendomi un cartoncino: si trattava di una foto che ritraeva un uomo sulla quarantina dall'aspetto robusto, il volto ovale, i capelli biondo scuro e gli occhi color nocciola.
- Non vi ricorda nessuno che conoscete? - mi domandò. - Provate ad immaginare su quel volto un paio di baffi tanto folti da coprire il labbro superiore - suggerì.
- Ma certo! - dissi, battendomi una mano sulla fronte. - Quest'uomo è Russel Lynn!
- Siete in errore - mi ammonì Holmes. - Quest'uomo è Russel Wyvill, gallese, di professione falsario.
- Sono sbalordito - mormorai. - Ma, in nome del cielo, come avete fatto, Holmes?
- Mio buon Watson - cominciò, con la sua solita flemma, accomodandosi nella poltrona, - ho già avuto modo di dimostrarvi l'importanza del metodo con cui si introducono i concetti nella mente: io evito accuratamente di immagazzinare qualsiasi nozione che non sia funzionale al mio lavoro, sfruttando con oculatezza lo spazio necessariamente limitato a mia disposizione.
- Già - dissi io, ripensando allo sconcerto che provai nell'apprendere, agli inizi della mia conoscenza con Holmes, che il mio amico era del tutto all'oscuro della teoria copernicana e della struttura del sistema solare.
- Dunque - continuò - non ho fatto altro che collegare logicamente i fatti osservati.
- Ma sono gli stessi fatti che io ho osservato insieme a voi - protestai.
- Naturalmente - ribattè. - Ma voi vi siete fermato alle apparenze, senza cercare il legame che li univa.
- E quale sarebbe questo legame? - domandai sinceramente un po' irritato.
- Vedete Watson - iniziò, mentre si accendeva la pipa, - fin dall'inizio era chiaro che l'etichetta descritta dalla signorina Sevi con le due lettere traslate, non potesse essere frutto di una svista del tipografo. Come abbiamo potuto osservare nella sua bottega, Wyvill dispone di una fornace per mezzo della quale può preparare lui stesso i caratteri che poi verranno stampati. Ora - proseguì, tenendo la pipa a mezz'aria, - se davvero si fosse trattato di un banale errore, accorgendosene, Wyvill avrebbe immediatamente preparato un carattere nuovo...
- Ma potrebbe non essersene accorto - obiettai.
- È una possibilità - ammise Holmes. - Per quanto io faccia fatica a credere che un tipografo esperto o, dal momento che conosciamo la verità, un falsario esperto, possa non avvedersi di un simile sbaglio. Ma ammettiamo che sia andata così: com'è possibile, allora, che le altre etichette, per quella stessa miscela di tè, siano state stampate correttamente?
- Potrebbe aver eseguito il lavoro in tempi separati - ipotizzai.
- Ma noi sappiamo che ciò non è possibile: ricordate le parole della signora del Golden Lion? Le etichette vengono consegnate una volta alla settimana, e ogni settimana per una miscela differente. Inoltre, anche ammettendo che una miscela potesse aver avuto tanto successo da richiedere una nuova ordinazione di etichette, quello non può essere il caso della spiced, poiché è stata messa in vendita ieri per la prima volta.
- Allora Wyvill potrebbe aver notato l'errore dopo la prima stampa, aver eseguito le successive orientando le N nel senso giusto, e avere per sbaglio consegnato anche l'unica etichetta scorretta.
- E dunque, secondo voi, chi è penetrato in casa della signorina Sevi, lo ha fatto soltanto per assecondare il perfezionismo del tipografo, che non voleva rendere pubblico il suo piccolo errore? - mi chiese ironicamente Holmes. - No, no, Watson - disse scuotendo la testa. - Inoltre non è una questione di orientamento: capovolgendo un N si ottiene sempre una N. Invece, nel nostro caso, è stata operata una traslazione. E si è trattato di un atto consapevole. L'errore, autentico, è stato nel destinatario del pacchetto con quella particolare etichetta, tanto che, appena scoperto, è avvenuta la sostituzione.
- Ma cosa c'era di così importante in quell'etichetta? - domandai.
- Questo ancora non lo so - rispose Holmes, seguendo con lo sguardo un anello di fumo. - In base ai fatti di cui dispongo, ho formulato alcune spiegazioni, e tutte potrebbero adattarsi al caso; tuttavia, sapete bene che è sempre un errore giungere a conclusioni senza possedere una visione totale della situazione. I volumi che con straordinaria premura avete procurato - disse, indicando i libri che avevo posato sul tavolo vicino alla finestra, - mi forniranno, spero, alcuni elementi essenziali.
- Non mi avete ancora detto come avete scoperto la vera identità di Lynn.
- Semplice, caro amico - rispose. - Come ricorderete, da parecchi mesi, ormai, la polizia sta cercando di catturare una coppia di falsari evasi dalle prigioni del Galles.
- Sì, certo: ricordo che il giornale di ieri riportava la notizia dell'ennesimo fallimento di Scotland Yard.
- Non appena vidi Lynn, mi tornò alla mente la descrizione dei due fuorilegge pubblicata all'indomani della loro evasione. Drizzai le orecchie: conoscendo la storia dell'etichetta, ammetterete che mettere in relazione il tipografo con il falsario era quasi naturale. Il suo marcato accento gallese, poi, ha dissipato gli ultimi dubbi. Restavano i baffi, ma non è difficile farli crescere. Così, dopo aver raccolto le informazioni che vi ho detto, dai negozianti vicini, mi sono recato alla polizia, dove l'ispettore Connelly è stato tanto gentile da fornirmi la foto che vi ho mostrato e che mi ha permesso di riconoscere il mio uomo senza ombra di dubbio. Naturalmente mi ha anche dato quella del suo complice.
- Charlie, il garzone del negozio.
- No, Watson: Charlie Gower, garzone del Golden Lion, è soltanto un tramite. Ho preso qualche informazione anche su di lui e mi sono convinto che è estraneo alla faccenda, tranne che per il suo compito di intermediario. Probabilmente viene ricattato.
- Ricattato?
- Sì. Gower ha subito una condanna, parecchi anni fa, per furto con scasso in una casa di lusso; ha scontato la sua pena e poi sembra essersi ravveduto. Lavora da parecchio al negozio di tè, conducendo una vita onesta. È dunque probabile che Wyvill l'abbia costretto a raccomandarlo alla sua padrona, ed ora continui ad usarlo per i suoi piani, sotto la minaccia di rivelare la verità sul suo passato, che gli farebbe rischiare di perdere il lavoro.
- Eccezionale Holmes! - esclamai. - Ma ora venite a mangiare - dissi, indicando la cena che la signora Hudson aveva appena servito. - Vi farà bene, dopo una giornata tanto intensa.
Mi accomodai a tavola, ma Holmes non si mosse. Tentai di convincerlo a raggiungermi, ma sapevo bene che quando si trovava nel centro di un'indagine, l'unica cosa che lo interessava era il modo di giungere alla soluzione: poteva passare giornate intere senza toccare cibo, poiché questo, affermava, gli avrebbe sottratto energie preziose per il lavoro.
Si alzò dalla poltrona diretto al tavolo vicino alla finestra. Passando vicino al divano, si fermò ad osservare il giornale, ancora aperto alla pagina della cronaca, come l'avevo lasciato: lo prese in mano e lesse qualche riga.
- Perbacco! - mormorò, gettandolo nuovamente sul divano.
Holmes trascorse l'intera serata a sfogliare i volumi che avevo preso in biblioteca; con mia sorpresa, quelli che sembrarono attrarlo maggiormente, furono proprio i due che ero stato sul punto di scartare. Ad un tratto, dopo aver osservato alcune pagine più a lungo delle altre, mi accorsi che sul suo volto aguzzo ed intelligente era balenato un lampo: afferrò la confezione di tè, misurò con le dita le dimensioni dell'etichetta, che saranno state all'incirca di tre pollici per due, poi le confrontò con qualcosa raffigurato sulle pagine dei libri che stava studiando.
- Ci siamo, Watson! - esclamò eccitatissimo. - Venite a vedere.
Mi avvicinai al tavolo: i libri erano aperti alle pagine che raffiguravano rispettivamente i sigilli usati dalle due case reali per siglare la corrispondenza di stato riservata. Una didascalia specificava che le illustrazioni riproducevano le dimensioni effettive.
Holmes mi indicò i sigilli sui libri e poi l'etichetta sul pacchetto di tè.
- Corrispondono - disse trionfante.
Di fronte alla mia espressione allibita, Sherlock Holmes richiuse i due volumi e, riacquistata la sua calma consueta, mi guardò annuendo con la testa.
- Non so che farei senza di voi, mio caro dottore - mi disse sorridendo. - La vostra abitudine nel tenere a freno l'immaginazione è tanto preziosa per me, quanto l'immaginazione stessa, di cui io, come ben sapete, faccio assai uso.
- Grazie Holmes - risposi soddisfatto, accendendomi una sigaretta.
- Voi, caro amico - continuò - mi rammentate quanto sia sbagliato entusiasmarsi per un'ipotesi, sebbene quasi certamente corretta, senza disporre di una solida base costituita dai fatti. Dunque, poiché per questa sera non potrò procurarmi gli elementi che potrebbero avvalorare le mie supposizioni, propongo di andare a dormire, in attesa degli sviluppi che attendo per domani.

Il mattino successivo, quando scesi per la colazione, Holmes era già uscito. Restò fuori per l'intera mattinata, e quando rientrò a Baker Street, intorno all'una, capii subito, dal luccichio dei suoi occhi, che aveva trovato quello che cercava.
- Un caso davvero unico, Watson - esclamò, sistemandosi sulla poltrona vicino al caminetto.
Cedendo alle mie insistenze per avere qualche spiegazione, Holmes mi raccontò che aveva trascorso la prima parte della mattina al Golden Lion, convincendo la negoziante a mostrargli il registro con i nomi e gli indirizzi degli acquirenti della miscela spiced.
- Non è stato troppo difficile - mi spiegò. - La stampa ha un notevole potere di seduzione, e di persuasione, soprattutto sui negozianti, per via della pubblicità che ne possono ricavare.
- Cosa c'entra la stampa? - domandai dubbioso.
- Mi sono presentato alla signora in veste di giornalista, spiegandole che, anche per cercare di rimediare al mio inqualificabile comportamento del giorno prima, ero riuscito a convincere il mio direttore ad assegnarmi un articolo sul tè e sul più importante negozio della città. Aggiunsi che c'era addirittura la possibilità di una serie di articoli sull'argomento, e che per il primo avevo deciso di parlare delle miscele dal gusto orientale. La signora, lusingatissima, mi mostrò diverse miscele, compresa la spiced; quando io espressi un po' di scetticismo circa il fatto che il popolo Britannico, così legato alle tradizioni, potesse apprezzare un gusto tanto insolito, la signora mi assicurò che, al contrario quel tipo di miscela aveva parecchi estimatori, e fu ben lieta di fornirmi i loro nomi, affinché potessi intervistarli.
- Scorsi la lista, annotando nomi ed indirizzi, compreso quello della signorina Sevi. Ma vi confesso che quando arrivai al nome del segretario per gli Affari Esteri, trattenni a stento un moto di soddisfazione.
- Il signor Jeremy Blyton, se non sbaglio: ho letto qualcosa su di lui proprio ieri, sul Times - dissi io. - Sospettate sia coinvolto in questo affare?
- Temo di sì, Watson, ma come vittima - rispose. - Quando ieri lessi sul giornale il nome del signor Blyton, collegato alla scomparsa del suo maggiordomo, mi scosse un campanello d'allarme. Non sapevo di che natura fosse il legame tra lui e il nostro caso, né posso ancora dirlo con certezza, ma so che esiste una connessione.
- Da cosa lo deducete? - domandai.
- Da una serie di fatti che, pur apparentemente estranei tra loro, costituiscono una serie di coincidenze troppo singolare, per essere davvero dovuta a semplici casualità. Riflettete, Watson: abbiamo un'etichetta con un errore che la rende riconoscibile dalle altre, un falsario che ne è l'artefice, e che tiene nella sua bottega volumi sull'araldica delle case reali asburgica e russa, paesi che con l'Inghilterra intrattengono rapporti assai delicati. Ora scopriamo che il segretario per gli Affari Esteri ha un legame, seppure come acquirente, con la bottega alla quale il falsario vende le sue etichette. E non dimentichiamoci i tempi: Wyvill ha riaperto la tipografia tre mesi fa, data cui all'incirca risale la scomparsa del maggiordomo di Blyton. A questo punto sarebbe lecito supporre che nemmeno le origini, gallesi sia per i falsari che per Blyton, siano imputabili ad una coincidenza.
La signora Hudson interruppe le spiegazioni di Holmes, per annunciare una visita. Un uomo sulla quarantina, alto e snello, vestito in maniera elegante, entrò nella stanza; tenendo in mano un telegramma, si informò su chi di noi due fosse Sherlock Holmes.
- Sono io - disse il mio amico. - Vi ringrazio di essere venuto, signor Blyton.
- Bene, signor Holmes - disse freddamente il signor Blyton. - Spero che ciò che avete da dirmi sia davvero importante come afferma il vostro telegramma: i miei impegni non mi consentono perdite di tempo. Comunque, è soltanto per intercessione di vostro fratello che ho accettato di venire.
- Vedrete che il vostro tempo non andrà sprecato - replicò il mio amico in tono fermo. - Conoscete quest'uomo? - domandò, porgendogli la foto del secondo falsario.
- Ma questo - disse il signor Blyton con evidente sorpresa - è Edgar Darby, il mio maggiordomo. La pettinatura è diversa e i baffi sono più corti, ma è lui: non ho dubbi. Che significa, signor Holmes?
- Da quanto tempo l'avete alle vostre dipendenze?
- Da circa tre mesi - rispose. - Assunsi Darby quando il mio maggiordomo scomparve, agli inizi del Luglio scorso.
- Come l'avete trovato? - insistette Holmes.
- Si presentò lui: disse che aveva appreso dai giornali della scomparsa e aveva pensato che mi servisse un nuovo maggiordomo. Mi disse che era stato al servizio di una famiglia di nobili del Galles, ma che ora aveva deciso di trasferirsi a Londra. Mi mostrò le sue referenze ed egli stesso mi spinse a mettermi in contatto con il Galles, con la famiglia in cui aveva lavorato, che mi confermò la serietà di Darby. Così decisi di assumerlo: anch'io sono gallese e...
- Non avete fatto altri controlli sul nuovo assunto?
- No, naturalmente. Perché me lo chiedete?
- Perché se vi foste premurato di farne, avreste scoperto di essere stato raggirato - rispose secco Holmes.
- Raggirato? Ma cosa dite? - esclamò il signor Blyton, rosso di collera.
- Dico che Edgar Darby, il cui vero nome è John Guy, è un falsario ricercato dalla polizia.
- Ma non è possibile - protestò il signor Blyton.
- Mi spiace, ma è la verità - assicurò Holmes. - Scotland Yard sarà lieta di fornirvi tutte le prove che potranno servire a convincervi. Ma ora non c'è tempo. Dobbiamo...
- Dobbiamo denunciarlo, naturalmente. Signor Holmes, io...
- Calmatevi, signor Blyton. E ascoltatemi: una denuncia adesso sarebbe un errore. Guy ha un complice, con il quale penso di poter affermare con certezza, ha organizzato un piano ai vostri danni. Ed io non ho ancora tutti gli elementi per dire con precisione di cosa si tratti: per questo ho bisogno della vostra collaborazione. Siete disposto a fare ciò che vi dirò?
- Ma... - balbettò il signor Blyton - D'accordo signor Holmes - disse infine. - Cosa volete che faccia?
- Innanzi tutto che non lasciate intendere a Guy ciò che avete appena saputo su di lui. Potete fare in modo di allontanarlo da casa per un po', diciamo per un'ora?
- Certamente: troverò qualche commissione da fargli fare.
- Benissimo. Allora tornate a casa e, poco prima delle cinque, affidategli l'incarico. Noi verremo subito dopo. A più tardi.
- C'è una cosa che ancora non mi avete detto - dissi, dopo che il signor Blyton se ne era andato. - Qual era il compito che avete chiesto di svolgere alla signorina Sevi?
- Nulla di pericoloso, Watson - rispose Holmes, accendendosi la pipa. - L'ho pregata di acquistare del tè al Golden Lion chiedendo che le fosse portato a casa, allontanando così il garzone che, rivedendomi, si sarebbe potuto insospettire.
- Geniale, Holmes - esclamai. - E adesso, cosa contate di fare?
- Aspettare - rispose, stringendo la pipa tra i denti. - Più tardi farò visita al signor Blyton. Spero che vorrete accompagnarmi.
- Con vero piacere - risposi.
Erano passate da poco le cinque quando Holmes ed io varcammo la porta della sontuosa casa del signor Blyton, a Mayfair.
- Dove alloggia la servitù? - domandò Holmes.
- Nella parte sinistra della casa - rispose il segretario per gli Affari Esteri. - Venite: vi faccio strada.
Attraversammo un lungo ed ampio corridoio le cui pareti erano adornate da quadri raffiguranti, presumibilmente, gli antenati del signor Blyton; giunti davanti alla porta della stanza del maggiordomo, Holmes chiese al nostro ospite di aprirla, ed entrò. Restò per qualche attimo ad osservare la stanza e la disposizione dei mobili. Con cautela si avvicinò alla piccola scrivania posta davanti alla finestra: sollevò alcuni fogli, ed analizzò una boccetta di inchiostro blu posata vicino, raccolse qualcosa dal portacenere e controllò il contenuto dei cassetti. Poi si diresse verso il comodino, a fianco del letto: aprì il cassetto e lo richiuse immediatamente, per concentrare la sua attenzione sulla parte inferiore del mobile, chiuso da un'antina intarsiata. Con disappunto, dovette constatare che dentro non v'era quasi nulla; richiuse l'antina e si voltò verso l'armadio, appoggiato sulla parete vicino alla finestra. Stava per raggiungerlo, quando, con un lampo negli occhi, tornò indietro e si inginocchiò davanti al comodino: aprì nuovamente l'antina e ne osservò daccapo l'interno, passò le dita sul bordo laterale e poi avvicinò l'indice alle labbra, restando immobile per qualche attimo.
Il signor Blyton ed io ci scambiammo uno sguardo incuriosito, mentre Sherlock Holmes estraeva dal mobiletto i pochi oggetti che vi erano riposti. Quando il comodino fu vuoto, Holmes appoggiò entrambe le mani alla parete sul fondo, tastandola ripetutamente: sentimmo un leggero scatto e, sotto i nostri occhi increduli, la parete si mosse.
- Incredibile! - esclamò il signor Blyton. - Questi mobili facevano parte dell'arredamento di una tenuta di campagna del mio bisnonno: sapevo che alcuni contenevano artifici del genere, ma non mi sono mai curato di cercarli. C'è persino la possibilità che io stesso abbia accennato la cosa al maggiordomo, mostrandogli la stanza... Ma mai avrei immaginato...
- Scoprire questo nascondiglio è stata senza dubbio un'insperata fortuna, per Guy - disse il mio amico, - ma state certo che avrebbe trovato una soluzione per i suoi piani comunque - spiegò Holmes, mentre rimuoveva la parete interna del comodino.
Una volta asportato, il doppio fondo rivelò il reale contenuto del mobile: tre buste, una bianca, una color ocra e la terza marrone chiaro, un portasigillo in legno, tre boccette d'inchiostro, tre penne, della ceralacca rossa e un piccolo dischetto di metallo.
Holmes prese in mano il dischetto, lo osservò con attenzione e ce lo mostrò: era un oggetto leggerissimo, con il bordo appena ripiegato, raffigurante uno stemma, o qualcosa di simile. Mentre lo porgevo al signor Blyton, il mio amico aveva afferrato le buste e le stava analizzando: una sola di esse, quella color ocra, recava un sigillo ma, come le altre due, era aperta. Holmes ne estrasse il foglio che vi era contenuto e lo lesse, poi fece lo stesso con la busta marrone.
- Perbacco! - esclamò, e li porse al signor Blyton che, dopo averli scorsi impallidì.
- È pazzesco! - disse, mentre il suo viso iniziava ad assumere un colorito vermiglio.
- E non è tutto - intervenne Holmes, che aveva appena terminato di leggere la terza lettera. - Leggete questo - disse al signor Blyton.
- È una follia! Un complotto! In nome del cielo, non crederete a quanto è scritto qui! - urlò il signor Blyton, fuori di sé, gettando i fogli sul letto.
- Holmes - domandai - che c'è scritto di così grave in quelle lettere?
Holmes le raccolse e me le passò. Mi dedicai per primo a quella color ocra: fui sbalordito nel constatare che la lettera, nella quale si descrivevano i dettagli di un complotto politico ordito, per la parte che riguardava il nostro paese, dal segretario per gli Affari Esteri, recava la firma dell'arciduca d'Austria, erede al trono dell'impero asburgico. La lettera marrone era dello stesso tono della prima, ma questa recava la firma del vice ministro degli interni russo, direttamente alle dipendenze dello zar. L'ultima lettera, quella bianca, che recava la data del 6 Luglio, era stata scritta, almeno così indicava la firma, da Joseph Leech, il maggiordomo scomparso del signor Blyton. Nelle poche righe, vergate con mano incerta, Leech raccontava di aver scoperto che il suo padrone era un traditore, e di essere in possesso delle prove del complotto intessuto dal signor Blyton ai danni dell'Inghilterra. La lettera spiegava ancora come Leech avesse parlato al suo padrone di ciò che aveva scoperto, e del luogo in cui si sarebbero dovuti incontrare per discuterne: una casa abbandonata al fondo di Stansfield Road, a Brixton; l'idea, affermava Leech, era stata del signor Blyton, che desiderava assicurarsi di essere al lontano da orecchie indiscrete, comprese quelle del resto della servitù. La lettera si concludeva con il proposito, da parte di Leech, di consegnare questo messaggio, il giorno dopo, ad una persona di fiducia, e terminava con queste parole: "Se dovesse accadermi qualcosa di brutto, la verità sarà comunque scoperta".
Holmes, intanto, era alle prese con l'armadio: stava analizzando le suole di un vecchio paio di scarpe che il signor Blyton, con estremo disappunto, aveva identificato come proprie. Holmes le confrontò con un altro paio, queste realmente di Guy, e trovò che le misure corrispondevano.
- Tutto quadra - disse compiaciuto. - Queste scarpe sono state indossate per andare a Brixton..
- E voi come lo sapete? - domandò il signor Blyton.
- Dal colore e dalla consistenza dei residui di terreno visibili sotto le suole - replicò imperturbabile Holmes. - Potrei parlare con la governante? - chiese.
- La chiamo subito - rispose il signor Blyton, avvicinandosi al campanello.
- No - lo fermò il mio amico. - Preferirei vederla in cucina, se è possibile naturalmente.
- Come preferite.
Mentre il signor Blyton ci conduceva in cucina, passammo davanti al suo studio; la porta era aperta e se ne intravedeva una parete. Il mio amico si fermò all'improvviso e si diresse dentro la stanza, si avvicinò ad una foto che ritraeva un gruppo di giovani, probabilmente universitari, scrutò quei volti con la lente e, dopo aver estratto qualcosa da una tasca, si rivolse al nostro ospite.
- Avete frequentato l'università nel Galles? - chiese.
- Sì. Mio padre, scomparso parecchi anni fa, è stato rettore dell'ateneo, il primo fondato in Galles - rispose con un po' di sorpresa il signor Blyton. - Ma questo cosa c'entra?
- Andavate d'accordo con Russel Wyvill?
- Russel Wyvill? - ripetè il signor Blyton, sempre più sconcertato. - Come conoscete Russel Wyvill?
- È lui? - domandò Holmes, porgendogli una fotografia.
Il signor Blyton assentì e, dopo che Holmes gli chiese se esisteva qualche motivo per cui Wyvill potesse provare nei suoi confronti un forte risentimento, ci raccontò di come, quando erano compagni di studio, Wyvill tentò di falsificare alcuni importanti documenti universitari che lo riguardavano. Il rettore, padre del signor Blyton, lo scoprì e, data la gravità della cosa, Wyvill fu cacciato dall'università, e dovette anche scontare qualche mese di carcere.
- Qualche tempo dopo - continuò il signor Blyton - venimmo a sapere che la madre di Russel, che proveniva da una famiglia dell'alta borghesia, si era tolta la vita per il disonore subìto.
- Una vendetta! - esclamò Holmes. - E ben congegnata - disse battendo le mani. - Ma adesso finalmente è tutto chiaro.
- Ma ora volete dirmi cosa c'entra Wyvill in tutta questa storia? - protestò il signor Blyton.
Dopo avergli raccontato ciò che aveva scoperto su Wyvill, Holmes cominciò ad interrogare la governante, una signora minuta, dal viso gentile e dai modi garbati.
Terminato il colloquio, che, a giudicare dallo sguardo di Holmes, doveva aver avuto un buon esito, ci congedammo. Il mio amico raccomandò al signor Blyton di non lasciarsi sfuggire nulla che potesse insospettire Guy e gli promise che presto avrebbe ricevuto sue notizie.
- Ah! - esclamò, mentre tornavamo a Baker Street. - Vi avevo detto, Watson, che si trattava di un caso unico. Una vera sfida per un ragionatore - disse, fregandosi le mani.
- Temo che qualche particolare mi sia sfuggito - dissi io. - Per esempio: cosa c'entra il pacchetto di tè?
- Watson - mi ammonì il mio compagno. - Non avete capito? Il pacchetto di tè, o, meglio, l'etichetta, è il mezzo con il quale Wyvill ha fatto avere a Guy la copia del sigillo reale asburgico, indispensabile per far apparire autentiche le lettere che Guy stesso aveva scritto.
- Ma perché proprio con il tè? E come poteva essere certo, Wyvill, che la governante acquistasse proprio quella miscela e proprio in quel negozio?
- Wyvill è troppo furbo per affidarsi al caso - rispose Holmes. - Guy, in quanto maggiordomo di Blyton, non ha avuto difficoltà a convincere la governante all'acquisto di quella particolare miscela, come la governante stessa mi ha confermato. Il pacchetto di tè come tramite - proseguì - era il modo più sicuro per assicurarsi che il sigillo arrivasse a destinazione: se fosse stato inviato per posta, qualcuno, rilevando la presenza di un oggetto metallico, si sarebbe potuto insospettire.
- Ma perché non incontrarsi di persona? - chiesi. - Guy avrebbe potuto ritirare i sigilli direttamente da Wyvill, nella sua bottega: che bisogno c'era di un piano tanto complicato?
- Vi confesso, Watson, che anch'io mi sono posto lo stesso interrogativo - rispose Holmes, - almeno fino a che la dirimpettaia di Wyvill non mi ha fornito l'indizio chiarificatore.
- Intendete la custode del palazzo di fronte alla tipografia?
- Esattamente: certo ricorderete il suo accenno all'elegante signore che insisteva nel far visita al tipografo, nonostante la sua palese indisponibilità.
- Sì - ammisi, - ma mi era sembrato di capire che si trattava semplicemente di un amico un po' ostinato.
- Ostinato, certo, ma non esattamente un amico - sorrise Holmes. - Non appena la gentile signora me ne descrisse l'aspetto, non ebbi nessuna difficoltà ad identificarlo: si tratta sicuramente di Andrew Lee Clarke, un raffinatissimo gentiluomo che non disdegna di occuparsi, qui a Londra, di traffici illeciti, sfruttando proprio il suo aspetto elegante e rispettabile. In parecchie occasioni la polizia ha sospettato di lui, sempre senza riuscire a mettere insieme prove sufficienti per incriminarlo.
- Ma se è il tipo che dite, Holmes, perché Wyvill sembrava esserne così infastidito? - domandai.
- Mio caro amico, qui entriamo nel regno delle ipotesi - rispose Holmes. - In base a quello che sappiamo, possiamo immaginare che Clarke, venuto a sapere della fuga dei due falsari gallesi, probabilmente sue vecchie conoscenze, abbia rintracciato Wyvill qui in città e, scoperto che stava aprendo una tipografia, abbia supposto che si trattasse di una copertura per qualche progetto criminoso.
- E infatti... - suggerii.
- Già, ma noi sappiamo che il progetto di Wyvill aveva scopi strettamente... personali, se così possiamo dire, mentre Clarke avrà probabilmente pensato ad un colpo con il quale aumentare le proprie ricchezze; avrà quindi insistito perché Wyvill lo rendesse partecipe della cosa, magari aggiungendo qualche velata minaccia.
- Ma Wyvill gli avrà spiegato che non si trattava di niente del genere - continuai io, - o, addirittura avrà negato del tutto...
- Senza essere minimamente creduto da Clarke - aggiunse Holmes. - A quel punto avrà cercato di tenerlo buono, promettendogli di interpellarlo non appena avesse avuto qualcosa per le mani, pensando principalmente ad impedirgli di scoprire che Guy, il suo complice, era diventato il maggiordomo del segretario per gli Affari Esteri: conoscendo il tipo, Wyvill non avrà certo faticato a supporre che, se lo avesse scoperto, Clarke avrebbe deciso di andare a fondo, rischiando di far insospettire il signor Blyton, e di mandare all'aria il minuzioso piano di Wyvill.
- Ed ecco perché Wyvill e Guy hanno deciso di non incontrarsi personalmente - conclusi io. - Ma - dissi dubbioso - c'e una cosa che ancora non capisco: poiché quelle lettere sono false, che danno avrebbero potuto arrecare al nostro paese?
- Non al nostro paese, Watson. A Blyton. Solo questo interessava Wyvill: la vendetta. Per vent'anni, probabilmente, non ha pensato ad altro. Prima di riuscire a provarne la falsità, quelle lettere avrebbero creato uno scandalo attorno al nome di Blyton. Pensate alla scelta dei paesi: credete sarebbe stato facile interpellare l'arciduca austriaco ed il vice ministro russo senza creare un incidente diplomatico? Blyton sarebbe finito in carcere, e sarebbe trascorso del tempo prima che le cose si fossero chiarite. Il suo nome sarebbe stato inevitabilmente screditato. O peggio.
- Peggio? Che cosa intendete?
- Non dimenticate il maggiordomo, Watson.
- Guy?
- Leech: il vero maggiordomo.
- Quello scomparso?
- Sì. Scomparso esattamente il 6 Luglio. Temo per sempre.
- Pensate sia morto?
- Ne sono certo.
Nei giorni seguenti Holmes non parlò più del caso. Quando io provavo ad accennarlo cambiava discorso. Passava lunghe ora rannicchiato sul divano, a fumare o a tirare fuori dal suo violino accordi bizzarri.
Il mercoledì successivo Holmes stette fuori quasi tutto il giorno. Fece un'apparizione sul finire della mattina, per scrivere qualche telegramma ed acconciarsi con uno dei suoi incredibili travestimenti. Così, prima che potessi domandargli se si fosse fermato per la colazione, il mio amico Holmes era scomparso: al suo posto, un decrepito prete irlandese si apprestava a lasciare la stanza.
- Sareste così gentile da occuparvi voi di spedire questi telegrammi? - disse. - A dopo, Watson.
Trascorsi la giornata rileggendo i miei appunti, nella speranza di trovarvi qualche particolare che potesse suggerirmi il motivo del misterioso comportamento del mio amico. Ma non ebbi successo.
Erano da poco passate le nove, quando Holmes rientrò a Baker Street con aria trionfante.
- Avete impegni per questa sera? - mi chiese, mentre si ripuliva il viso, cancellando i segni del trucco.
- No - risposi. - Ma volete spiegarmi...
- Magnifico! - esclamò. - Allora preparatevi: usciamo tra cinque minuti. Watson, portate con voi la pistola: non penso che ce ne sarà bisogno, ma è meglio essere prudenti.
- Va bene, Holmes, ma dove andiamo?
- Siamo invitati per il tè.
- Per il tè? A quest'ora?
- Sì, Watson. Mi rendo conto che l'ora non sembrerebbe quella più adatta, ma vedrete che sarà interessante. Siete pronto?
Lungo la strada Holmes si fermò al comando di polizia per assicurarsi dall'ispettore Connelly, disse, che non fossero sopraggiunti imprevisti. Proseguimmo senza ulteriori soste, fino all'incrocio tra Grosvenor e Park Street: lì la nostra carrozza si fermò , e noi seguitammo a piedi fino a destinazione. In breve fummo davanti alla casa del signor Blyton: raccomandando di muoversi con estrema cautela, il mio amico mi condusse all'ingresso secondario, dove il signor Blyton in persona ci aprì la porta. Nel silenzio più assoluto raggiungemmo la cucina, dove Holmes ed io ci sistemammo.
Il signor Blyton si congedò, porgendoci due lanterne accese, ma con i telai abbassati, bisbigliando al mio amico che sarebbe tornato non appena tutti fossero andati a dormire.
- Mettetevi comodo, Watson - sussurrò Holmes. - Ci sarà da aspettare.
Dopo che il signor Blyton ci raggiunse, verso le undici, attendemmo, al buio ed in silenzio, all'incirca per un'altra ora, che a me parve interminabile. Alla fine, intorno a mezzanotte, udimmo dei passi avvicinarsi alla cucina; ci sistemammo meglio, ognuno nella propria postazione, in modo da risultare invisibili, ed osservammo con apprensione la maniglia della porta che girava lentamente su se stessa. Una figura maschile, alta e muscolosa, entrò furtivamente nella stanza e si avvicinò alla credenza, la aprì e afferrò un pacchetto, che posò sul ripiano. Con estrema cautela prese ad armeggiare, curvo sul ripiano; dopo pochi minuti rimise il pacchetto a posto e chiuse la credenza. A un tratto, sentimmo un rumore rapido, come di carta che viene strappata e, subito dopo, un'esclamazione soffocata di rabbia.
Senza fare il minimo rumore, Sherlock Holmes si alzò, si avvicinò all'intruso e lo afferrò per una spalla, costringendolo a voltarsi. Il signor Blyton ed io, ad un cenno di Holmes, alzammo i telai delle lanterne, dirigendo la luce sul volto dell'uomo che, inutilmente, stava cercando di liberarsi dalla presa del mio amico.
- È questo che stavate cercando, Guy? - domandò Holmes, porgendo al prigioniero un piccolo dischetto di metallo.
- Per tutti i diavoli! - urlò Guy, furente. - Chi siete? Cosa volete? Lasciatemi! Non ho fatto niente!
- Negare non vi servirà a nulla - rispose pacato Holmes.
- Non ho niente da dire - ribattè Guy, fissando Holmes negli occhi.
- Non ce ne sarà bisogno - replicò il mio amico. - Sappiamo ogni cosa.
- È un bluff. Soltanto un bluff, cari signori: state cercando di incastrarmi, ma non ci riuscirete - disse Guy incollerito.
- Tenetelo sotto tiro, Watson - disse Holmes, e uscì dalla stanza, per rientrarvi poco dopo in compagnia dell'ispettore Connelly e di due poliziotti che scortavano Russell Wyvill, in manette. Quando Wyvill si trovò faccia a faccia con il signor Blyton, cominciò a schiumare per la rabbia, gli urlò "assassino" e, in segno di sfregio, sputò per terra, proprio davanti al suo vecchio compagno di studi. Poi, rivolgendosi a Guy, gli intimò di non dire nulla, poiché, sostenne, la polizia non aveva nessuna prova.
- Eccone una - intervenne Holmes, mostrando all'ispettore il dischetto di metallo. - Questo è il secondo falso sigillo, che Guy avrebbe dovuto apporre sulla lettera, scritta e firmata da lui stesso con il nome del vice ministro degli interni russo, per far credere ad un complotto politico e far ricadere la colpa sul segretario per gli Affari Esteri qui presente.
- Niente biglietti da visita, dunque - disse Wyvill in tono ironico, rivolgendosi al mio amico. - Comunque non so di cosa stiate parlando. Voi vaneggiate, è chiaro - aggiunse con disprezzo.
- Ispettore - disse Holmes impassibile - le false lettere sono nella stanza di Guy, precisamente nel suo comodino, che è provvisto di un doppio fondo. Inoltre, nel suo armadio, troverete un paio di scarpe, che Guy ha sottratto al signor Blyton, probabilmente su suggerimento di Wyvill, con il preciso scopo di farlo incriminare anche per omicidio.
- Omicidio? - ripetè l'ispettore, mentre il signor Blyton mi lanciò uno sguardo che trasmetteva tutto il suo sconcerto.
- Sì ispettore - rispose Sherlock Holmes. - Questi due uomini, oltre ad essere falsari, ricercati per evasione dalle carceri gallesi, e ad aver architettato il piano che vi ho ora spiegato, per danneggiare il signor Blyton, si sono macchiati del delitto di Joseph Leech.
- Maledetti! - urlò il signor Blyton, fuori di sé. - Non vi bastava disonorare il mio nome e rovinare per sempre la mia carriera politica? Assassini!
- Troverete il corpo di Leech, o quello che ne resta, poiché l'omicidio risale a circa tre mesi fa - avvertì Holmes, rivolgendosi all'ispettore - seppellito nel giardino di una casa abbandonata al fondo di Stansfield Road, a Brixton.
- Signor Holmes - disse l'ispettore sbalordito - Come l'avete scoperto?
- Nella stanza di Guy - spiegò Holmes - insieme alle due lettere di cui vi ho detto, ne troverete una terza, che reca la firma di Leech. Naturalmente è falsa, anch'essa opera del nostro abile artista. Non vi sarà difficile, confrontandola con la scrittura di Leech, rilevarne la non autenticità, e usarla come prova contro questi due farabutti.
- Vorrei vedere la stanza di Guy - disse l'ispettore, rivolgendosi al signor Blyton.
Dopo aver ispezionato la stanza e prelevato le prove che Holmes aveva indicato, l'ispettore Connelly, dichiarandosi ansioso di chiudere in cella "i due gaglioffi", come egli stesso li definì, si congedò augurandoci la buona notte ed avvertendo il signor Blyton che sarebbe tornato il giorno successivo per il verbale.
Quando fummo soli, il signor Blyton ci guidò nel suo studio dove, dopo essersi complimentato con Holmes, gli porse un assegno da mille e cinquecento sterline.
- Nessuna somma potrà mai ripagare ciò che avete fatto per me - disse al mio amico con gratitudine. - Ma vorrei che accettaste ugualmente questo denaro come risarcimento, almeno, per le spese che avrete sostenuto per portare a termine la vostra inestimabile opera.
- Vi ringrazio, signor Blyton - disse Sherlock Holmes - Ma non posso accettare. Tuttavia - aggiunse, - se sentite il bisogno di elargire una ricompensa, mi permetto di suggerirvi che dovreste offrirla alla persona che ha fornito l'indizio di partenza, attirando così la mia attenzione su questo caso.
- Ho difficoltà a convincermi che esista qualcuno più meritevole di voi, nell'aver salvato il mio onore, la mia carriera e, probabilmente la mia stessa vita - osservò il signor Blyton. - Ma se davvero ritenete che questo gentiluomo lo sia, ebbene, ditemi il suo nome: sarà mia cura fargli avere questo segno della mia gratitudine.
- Margherita Sevi - disse il mio amico, lanciandomi un'occhiata d'intesa. - È questo il suo nome.
- Signor Holmes - domandò il signor Blyton, un po' dubbioso - posso chiedervi in che modo questa signorina si sia rivelata indispensabile al caso?
- Grazie alla sua intelligenza ed al suo straordinario spirito d'osservazione - rispose Holmes con fermezza. - È stata la signorina Sevi, infatti, avendo ricevuto per errore il pacchetto di tè contenente il sigillo, ed avendo prontamente notato l'anomalia sull'etichetta, a spingermi ad iniziare l'indagine. Per questo motivo ritengo che la signorina meriti tutta la vostra gratitudine.
- Bene signor Holmes - disse il signor Blyton: - la signorina Sevi riceverà l'assegno domattina. Comunque - aggiunse tendendo la mano al mio amico - permettetemi di esprimervi ancora tutta la mia riconoscenza.
- Complimenti Holmes - dissi al mio compagno mentre tornavamo a Baker Street. - Siete stato straordinario - lo elogiai.
- Ma c'è qualcosa che ancora vi sfugge, non è così, mio caro dottore?
- Come siete riuscito ad avere il secondo sigillo? - domandai, dimostrando per l'ennesima volta che il mio amico aveva intuito perfettamente il mio pensiero.
- Questo pomeriggio - iniziò - nei panni del prete irlandese, ho atteso, nei pressi del Golden Lion, che il garzone portasse il tè a casa di Blyton, come fa ogni mercoledì. Quando l'ho visto uscire, gli sono andato incontro e, fingendo di aver perso l'equilibrio l'ho urtato, facendogli cadere il pacchetto. Naturalmente mi sono immediatamente scusato, offrendomi di raccogliere il pacchetto. Grazie alle ampie maniche dell'abito talare ho fatto scivolare la confezione che sapevo contenere il sigillo, e l'ho sostituita con un'altra della stessa miscela.
- Ma non temevate che il garzone si accorgesse che l'etichetta della nuova confezione era stampata correttamente?
- Ero certo che se ne sarebbe avveduto immediatamente - rispose Holmes. - Ma io, questa mattina, avevo acquistato una delle confezioni preparate ieri sera, come la signora del negozio mi aveva assicurato, dal garzone. Quindi ho sostituito l'etichetta con quella che avevo prelevato nella bottega di Wyvill, identica in tutto, tranne che per le N della marca. A quel punto, eccetto che per il sigillo, la cui presenza, tuttavia, non si sarebbe potuta rilevare senza strappare l'etichetta, la mia confezione era uguale a quella che il garzone doveva consegnare in casa Blyton - concluse sorridendo. - Il resto lo sapete.
- Strabiliante! - commentai, mentre varcavamo finalmente la soglia del nostro appartamento.
Il mattino successivo, subito dopo colazione, Holmes si concentrò sul suo tavolo da lavoro, deciso a terminare l'esperimento di chimica interrotto la settimana precedente dalla visita inaspettata della signorina Sevi. Proprio mentre stava per versare un intruglio giallastro in una provetta piena a metà di un liquido quasi trasparente, la signora Hudson entrò nella stanza, per annunciare al mio amico che una persona chiedeva di vederlo. Holmes posò le provette, emettendo un grugnito di disapprovazione.
- Poiché continuo a disturbarvi durante i vostri esperimenti, finirete per convincervi che io sia stata assoldata da qualche editore deciso ad impedire che i volumi di chimica possano essere corretti - disse la signorina Sevi, entrando nella stanza.
Devo ammettere che rividi la signorina con grande piacere, e anche Holmes, penso, poiché, nonostante fosse stato interrotto, quella mattina si dimostrò particolarmente accomodante.
- Prego - disse il mio amico, invitando la signorina a sedersi.
- Cercherò di non farvi perdere troppo tempo - lo rassicurò lei. - Innanzi tutto desideravo congratularmi con voi per il caso, da quanto ho appreso, brillantemente risolto.
- Il merito è in parte vostro - sorrise il mio amico.
- Oh no, signor Holmes: sono certa che questa vicenda sarebbe giunta ugualmente alla vostra attenzione, anche senza il mio pacchetto di tè.
- A proposito - intervenne Holmes. - Resta l'episodio dell'intrusione in casa vostra. Personalmente, ho ritenuto opportuno non parlarne alla polizia, ma se intenderete sporgere denuncia contro Charles Gower, il garzone del Golden Lion, contate pure sulla mia testimonianza.
- In fondo non mi è stato rubato nulla - osservò la signorina. - E poi, temo che il rimedio sarebbe peggiore del male, almeno per quel giovane. Non sporgerò denuncia: mi fido del vostro giudizio.
- Siete molto comprensiva - commentò il mio amico.
- E voi estremamente generoso - disse la signorina, estraendo dalla borsetta un assegno. - Mi è arrivato stamattina, insieme ad un biglietto di spiegazione.
- Blyton è stato di parola - osservai.
- Non posso accettare, signor Holmes - disse la signorina, porgendo l'assegno al mio amico.
- Dovete - replicò Holmes con tono suadente. - Avete svolto un ruolo importante, in questo caso, ed è giusto che siate ricompensata.
- Ma il caso l'avete risolto voi, grazie alle vostre doti straordinarie - insistette la signorina, costringendo il mio compagno a schernirsi, benché, come sapevo bene, Holmes fosse molto sensibile ai complimenti, in particolare a quelli riferiti alla sua intelligenza.
- Vedete signorina - disse Holmes - per chi ama il proprio lavoro, il lavoro stesso è la migliore delle ricompense. Giungere alla soluzione di un enigma è, di per sé, totalmente appagante: non vi è nulla che potrebbe procurarmi una soddisfazione maggiore.
- Bene signor Holmes - concluse la signorina: - vi confesso che neanche per un attimo avevo pensato che sarei riuscita a convincervi.
- È stato comunque molto nobile, da parte vostra, avervi tentato - replicò il mio amico.
- Mi pare che di tanto in tanto voi vi serviate, per le vostre indagini, dell'ausilio di un gruppetto di ragazzi molto giovani - disse la signorina Sevi.
- Gli "Irregolari" - confermai io.
- Ebbene signor Holmes, vi sarei grata se voleste dividere fra loro queste mille e cinquecento sterline.
- Ma sono dei monelli - cercò di protestare il mio amico.
- E tuttavia voi dimostrate di apprezzarne le doti - osservò la signorina, porgendogli l'assegno.
- A nome di quei ragazzi - disse allora Holmes - vi ringrazio.
- La vostra nobiltà d'animo - disse la signorina, congedandosi - è pari alla vostra intelligenza. Ricorderò sempre con infinito piacere di avervi conosciuto.
- Ed io di avere avuto il privilegio di conoscere voi - rispose Holmes.
Incassato l'assegno, Sherlock Holmes divise la somma in parti uguali, e le ripose ciascuna in una busta. Quindi radunò i "suoi" monelli e consegnò ad ognuno una busta, spiegando che una persona straordinaria, fu questo il termine che usò, si era privata di quella somma per farne loro dono. La gioia di quei ragazzi fu qualcosa d'indescrivibile. Ed ebbi l'impressione che anche Holmes fu sul punto di commuoversi.
- È stato un bel gesto da parte della signorina Sevi. Non trovate Holmes? - chiesi, mentre stava tornando alle sue provette.
- Certo, certo. - rispose lui distrattamente. - Ma ora, Watson, vi dispiacerebbe passarmi il barattolo di zolfo? Ho un esperimento da terminare.